Monday, December 28, 2009
Wednesday, December 23, 2009
Le Puntate del Compasso: La serie sulla Crisi dell'Università in Italia
Contiene una serie di interventi del prof. Antonino Saggio, de La Sapienza di Roma, sulla crisi dell'Università e della ricerca in Italia. Lo scopo è affrontare a viso aperto dei nodi problematici che hanno condotto in basso l'Università italiana nella convinzione che la diffusione delle idee e delle conoscenze, anche attraverso la rete, possa innestare processi di riforma positivi.
Thursday, December 17, 2009
2. Le puntate del compasso: le Aree Disciplinari
Antonino Saggio discute del tema dei Settori o Aree disciplinari, un nodo fondamentale della strutturazione della università italiana che necessita di un profondo ripensamento. Il ragionamento riprende un tema che aveva affrontato nella parte conclusiva del suo intervento su > : "Sei punti e mezzo su Bruno Zevi" nell'Aula Magna della Università La Sapienza il 14 marzo del 2002
Saturday, December 05, 2009
1. Le puntate del compasso: Politica e Meritocrazia
Antonino Saggio inizia un ciclo di interventi sui temi della Politica e dell'Università per una avvicinamento della realtà ai conclamati valori di Trasparenza e Meritocrazia che muovono, ma troppo in astratto, i valori della Università pubblica. La serie inizia il 5 dicembre 2009, lo stesso giorno della prima manifestazione a-partitica organizzata direttamente via Internet. La serie serve a ricordare che la rete è uno strumento di libertà che va difeso ed usato. Gli interventi di Saggio non si riconoscono naturalmente in alcun schieramento di partiti, le scelte sono sempre individuali. Qui contano le conoscenze e le idee che si vogliono trasmettere.
Video YouTube
Friday, December 04, 2009
Le vittorie di Vittorio
Leggete questo curriculum. E domandatevi: da chi ha governato il sistema culturale della architettura italiana avete mai sentito una sola parola di autocritica? Anzi: pontifica.
La maratonda di Internet e Caravaggio
Friday, November 27, 2009
Tuesday, November 24, 2009
Commenti sul 7° Convegno Identità dell'Architettura italiana
Monday, November 23, 2009
A proposito di Elizabeth Diller e Zaha Hadid all’inaugurazione del MAXXI di Roma
di Antonino Saggio
Elizabeth Diller, completando la sua conferenza inaugurale in onore del museo MAXXI, ha lanciato un siluro all’architettura-corazzata di “Zaha” al Flaminio di Roma.
Ha detto, più o meno: ebbene cari amici, anche se veramente non dovrei perché è solo allo stato di concept, vi faccio vedere il nostro nuovo museo a New York. Si basa su tre principi. Il primo è che si deve auto sostenere finanziariamente. Vuol dire che le attività commerciali, quelle più direttamente produttive e quelle espositive non si sovvenzionano con soldi pubblici, ma appunto cercano nell’interesse delle loro attività presso il pubblico le fonti economiche di sostentamento. Secondo principio: le tre attività occupano circa un terzo della superficie ciascuna e poi, e l’ha detto come se niente fosse, ecco il terzo principio: “Spazi e funzioni si devono riconfigurare”. Ma come fare per riconfigurare spazi e funzioni? Beh, semplice: si prende una tecnologia ben funzionante, quella dei carri ponte e dei container dei porti e la si adatta al caso specifico! Il nuovo museo di Diller&Scofidio + Renfro risulta di conseguenza composto da tre scatole, che stanno l’una dentro l’altra come a formare una enorme Matrioska e che si aprono, si chiudono e silittano reciprocamente riconfigurando spazi interni ed esterni. Ha mostrato una prospettiva ed alcune sezioni e, per finire, ha detto: la forma architettonica verrà, adesso non è questa la cosa l’importante.
Sottolineiamo indi tre aspetti di questo costruendo museo a Manhattan. A. Autonomia e automantenimento di gestione, B. Riconfigurabilità degli spazi, C. Elettronica (ricorderete il loro progetto Blur!) combinata in questo caso alla meccanica portuale per affrontare il nodo stesso del progetto. La riconfigurabilità è in relazione alla massima flessibilità di uso. Qui non c’è una weltanschanung digitale o post meccanica, ma al contrario una tensione che affronta con coraggio le necessità del programma e a partire da queste elabora progetti moderni. L’estetica in architettura è una conseguenza, non la base di partenza.
Con Diller&Scofidio e la loro High-line abbiamo iniziato On&Off (“L’Architetto italiano” n. 15) e con la monografia di Antonello Marotta, prima in Italia, è ricominciata la collana Rivoluzione Informatica nel 2005. Che gli amici del MAXXI li abbiano invitati ci dà un piccolo credito culturale, anche se il siluro di Elizabeth d’un colpo fa apparire il MAXXI vecchio, costosissimo, inadeguato alle sfide culturali ed economiche da affrontare, assurdo climaticamente, tradito nella concezione urbana e forse poco funzionale. E che sia bello, guizzante ed asimmetrico, meandricamente piranesiano ci fa felici, sì, ma solo per un attimo.
Cerchiamo di fornire un contributo alle prossime realizzazioni italiane, senza paura di formulare le critiche sulle opere appena realizzate. Naturalmente della Hadid siamo ammiratori (e aborriamo l’architettura da presepe che hanno invece in mente i molti detrattori) ma per spirito di parte in Italia si tende a non fare le critiche se si è dalla stesso lato, è uno sbaglio gigantesco.
Ecco dunque alcune osservazioni pratiche e ci auguriamo costruttive sull’inaugurando museo del 21esimo secolo.
A. Costi e realizzazione. Come era già avvenuto per la Chiesa di Meier alla periferia di Roma, la via italiana alla costruzione delle opere “dinamiche” e “a-tettoniche” della recente architettura internazionale è assurda (il che potrebbe non far nulla), ma è soprattutto anti economica (150 milioni di euro il costo finale). Realizzare pareti portanti in cemento armato porta ad un lievitazione dei costi e a fare in maniera complessa, costosa e lunga cose che possono essere più semplici. Queste opere così dinamiche “domandano” una realizzazione ad ossatura d’acciaio triangolata e poi rivestita in pannelli. E’ il sistema usato al museo Guggenheim di Bilbao. L’altra strada è quella seguita nella realizzazione della bella chiesa di Alessandro Anselmi alla periferia di Roma (la Chiesa S. Pio di Petralcina nel quartiere di Malafede). Qui le forme dinamiche sono rese congrue ad un sistema di curvilinee travi in acciaio che creano audacia e bellezza strutturale rare (oltre ad un costo contenuto). Insomma alle soluzioni costruttive bisogna lavorare con attenzione, e la necessità del contenimento dei costi spesso aguzza l’ingegno dei bravi architetti e dei loro compagni ingegneri. Nel MAXXI la costruzione sembra essere stata dettata dalle esigenze della ditta che, logico o meno che sia l’approccio, i suoi lavori alla fine li contabilizza!. Nella fase della costruzione si legge l’inesperienza dello studio Hadid e lo strapotere della impresa e dei suoi interessi.
B. L’opera di Hadid sarebbe importante urbanisticamente per promuovere i flussi di attraversamento nel quartiere. Avere recintato il museo in un lotto chiuso da palizzate, come ci auguriamo non resterà ma invece temiamo, è uno sbaglio che snatura la forza stessa dell’architettura. Se l’area museale per insipienza gestionale, rimarrà sbarrata tra via Guido Reni a sud e via Masaccio a Nord il Museo perderà il suo potenziale urbano e la sua architettura diventerà, suo malgrado, “monumentale” perché da guardare e non da vivere! Il successo come attrezzatura “pubblica” e come spazio cittadino del vicino Auditorium dovrebbe servire come esempio positivo.
A. Lo spazio interno del MAXXI appare monotonamente indifferenziato dal punto di vista dell’uso espositivo (la grande variazione degli squarci visivi infatti non ha nulla a che vedere con la potenzialità di uso). E dal punto di vista dell’intelligenza ambientale l’edificio è sordo presentandosi come una macchina da riscaldare e raffreddare con tecniche tutte artificiali senza gli accorgimenti spaziali oggi possibili per attenuare l’impatto climatico.
Ci fermiamo e pensiamo ai semplici principi di Elizabeth Diller. Accontentarci del poco, dicendo che è meglio di niente, nel caso del MAXXI vorrebbe dire arrenderci.
in pubblicazione su carta nel dodicesimo supplemento "On&Off" nel numero 32-33 de L'Architetto Italiano, editore Mancosu
Wednesday, November 18, 2009
Thursday, November 05, 2009
Industria bella a .. Predappio
Ricordandomi dei tempi in cui ero piu' attivo nel Docomono, ho scovato questo splendido edificio industriale (certo noto, immagino, agli specialisti). L'edificio si trova nella strada tra Predappio alto e la casa del fabbro Alessandro Mussolini. Benito diventato Dux ci fa costruire, attorno alla casa natale, una specie di esedra e poi una città nuova. Ma questa e' un'altra storia. Chi conosce nome e progettista della fabbrica dismessa ce lo faccia sapere, se vuole in un post.
Sunday, October 11, 2009
Friday, October 09, 2009
Saturday, September 12, 2009
Saturday, August 22, 2009
Mostra di Plasma Studio al Sicily Lab 5-28 settembre 09
Monday, August 17, 2009
'Fuggiti' dall'Italia per nepotismo scoprono gene per lo sviluppo
polemica con il sistema nepotista dell'università, che non permetteva
loro di sviluppare adeguatamente le loro ricerche sui tumori al
cervello dei bambini. Negli Stati Uniti hanno trovato i mezzi, lo
spazio, il sostegno di due prestigiose università, prima la Albert
Einstein e dopo la Columbia. E adesso Antonio Iavarone e Anna
Lasorella annunciano la scoperta del gene che svolge un ruolo chiave
nello sviluppo delle cellule staminali e che è coinvolto anche nel
più aggressivo fra i tumori del cervello. Sono gli stessi ricercatori
a parlare della loro scoperta in un articolo pubblicato dalla
prestigiosa rivista Developmental Cell.
.....
Combattere il tumore al cervello è l'obiettivo che Antonio Iavarone e
Anna Lasorella, marito e moglie da molti anni, si sono posti dai primi
anni di studio all'Università. "Siamo entrambi pediatri, io sono di
Benevento e mia moglie di Bari, e ci siamo conosciuti al Policlinico
Gemelli, all'inizio degli anni '90: lavoravamo tutt'e due al reparto
di Oncologia pediatrica. Grazie alle nostre ricerche avevamo ottenuto
un grande finanziamento da parte della Banca d'Italia. Ma a un certo
punto ci siamo resi conto che non potevamo fare il nostro lavoro in
Italia, e così ci siamo spostati in America, a New York, prima alla
Albert Einstein, nel 2000, e poi alla Columbia nel 2002".
Iavarone non torna volentieri sulle ragioni che hanno spinto lui e la
moglie a emigrare negli Stati Uniti. Ma Repubblica si è occupata con
molta attenzione della loro vicenda, raccontata in un articolo del 5
ottobre 2000 da Elena Dusi, e ripresa successivamente da Curzio
Maltese. "Da noi la bravura non paga", s'intitolava l'articolo che per
la prima volta parlava della vicenda. "Il primario di oncologia, il
professor Renato Mastrangelo, ha cominciato a renderci la vita
impossibile - raccontava nel 2000 a Elena Dusi Iavarone - Ci imponeva
di inserire il nome del figlio nelle nostre pubblicazioni
scientifiche. Ci impediva di scegliere i collaboratori. Non lasciava
spazio alla nostra autonomia di ricerca. Per alcuni anni abbiamo
piegato la testa. Poi, un giorno, all'inizio del '99, abbiamo
denunciato tutto".
E a quel punto, anche sulla scia di una denuncia per diffamazione
effettuata dal professor Mastrangelo ("Abbiamo vinto la causa", dice
Iavarone) ai due coniugi ricercatori non è rimasta che la via del
volontario esilio. Che si è rivelata molto proficua, dal momento che
lavorare negli Stati Uniti ha permesso loro di sviluppare nel migliore
dei modi le loro intuizioni, dando una speranza a chi contrae questa
terribile malattia.
L'unico commento che si riesce a strappare sulla vicenda che li ha
allontanati dall'Italia (dove torneranno comunque a settembre, per
presentare la loro scoperta), è che "il nostro caso è stato
paradigmatico per quanto riguarda le caratteristiche, ma non è certo
un caso isolato". "Però non mi chieda altro - conclude Iavarone -
altrimenti ci dicono che facciamo sempre polemica. E invece noi adesso
vogliamo parlare solo della nostra scoperta, che ci fa essere molto
speranzosi per gli sviluppi futuri delle cure".
INVIATO DA REPUBBLICA MOBILE
Wednesday, July 29, 2009
Elezioni del preside della facolta' di architettura Ludovico quaroni de La sapienza di Roma
Volevo esprimere il mio pieno e convinto sostegno a questa candidatura per le seguenti ragioni:
1. Il prof Masiani ha dato in questi anni molte prove di grande intelligenza ed attenzione per la facolta'. Tra l'altro si devono al suo lavoro importanti iniziative della nostra Facolta' come il la rete wi-fi (una delle prime nella nostra universita'), la direzione del Cesma che ha fornito servizi informatici qualificati, e molte altre iniziative che hanno avuto esito positivo in un quadro spesso poco attivo e qualificato. Eufemismi a parte, la seria concreta e aperta iniziativa di Masiani sono state un riferimento prezioso anche nei ruoli istituzionali prestigiosi
ricoperti da direttore di dipartimento a pro rettore a vice preside. Su quale base si possa sottovalutare la buona sorte di avere tale candidato per risollevare le sorti della nostra facolta' a me appare poco chiaro.
2. Alcuni sostengono che avere un ingegnere edile a preside di una facolta' di architettura sarebbe uno sbaglio.
E' un errore di valutazione, secondo me. Due tra i migliori presidi di facolta' di architettura italiane sono stati proprio ingegneri!
Ricordo Giuseppe Samona' rettore dello Iuav, la più innovativa facolta di architettura italiana del secondo dopoguerra e Edoardo Benvenuto preside a Genova!
3. Inoltre il prof. Masiani e' sempre stato legato alla nosra facolta' avendovi insegnato da quasi cinque lustri. Ho lavorato con il prof. Masiani a progetti e ricerche. Tra i molti voglio ricordare la visita con i nostri studenti ad una mostra di Calatrava che abbiamo commentato approfonditamente insieme. A dimostrazione di una felice sensibilta e di una notevole collaborazione.
Il tutto puo' essere seguito in rete.
Invito studenti, amci e colleghi a prendere nella massima considerazione questa candidatura.
- Intervista a Giorgio Di Giorgio: "Mi candido per dare vita a un nuovo sistema universitario": http://www.uniroma.tv/?id_video=13110
- Intervista a Renato Masiani. "Mi candido per cambiare. Per dare risposte sia agli studenti sia ai miei colleghi". http://www.uniroma.tv/?id_video=13137
- Intervista a Susanna Menechini. "Una nuova didattica per garantire il lavoro agli studenti". http://www.uniroma.tv/?id_video=13138
- Intervista a Antonino Terranova: "Sarò un Preside rappresentativo di tutta la Facoltà". http://www.uniroma.tv/?id_video=13139
Saturday, July 11, 2009
Tuesday, July 07, 2009
Monday, July 06, 2009
Ricordo del prof. Francesco Tentori
una delle figure di punta della cultura architettonica italiana:
laureato allo Iuav con Samona', redattore di "l'Architettura",
caporedattore della "Casabella" di Rogers autore di fondamentali studi
su Le Corbusier e su P.M. Bardi. Con grande amicizia e rimpianto
Antonino Saggio
Antonino Saggio ricorda il prof. Tentori il giorno 6 luglio 2009 agli studenti del suo Corso a La Sapienza. Ascolta 8 minuti
Vai Alla pagina con altri materiali >>
Wednesday, April 22, 2009
Wednesday, April 08, 2009
Abbiamo perso Le staffe
Uno dei punti più complessi di una costruzione in cemento armato è l'attacco trave pilastro. Spesso maestranze e ditte, se non sottoposte ad accurati controlli, non mettono le staffe con attenzione proprio in questo punto perchè la particolare conformazione geometrica delle cassaforme ne rende appena un po' complesso l'inserimento. Ora, come si sa, le staffe servono a contrastare i movimenti oscillatori, ondulatori e di taglio che si verificano proprio nei terremoti. Se la mancanza delle staffe nell'attacco trave pilastro d'abitudine non crea problemi, in occasione di terremoti i solai slittano e avvengono i crolli. Crolli di costruzioni nuove (ospedali, case dello studente, prefettura) e morti, molti M O R T I.
Indi: calcoli, geni civili, burocrazie e quant'altro a nulla servono se non vi è il controllo attento del direttori di lavori e la coscienza di chi costruisce.
A chi segue una costruzione oltre alla buona qualità dei conglemerati, agli acciai prescritti nella quantità, qualità e aderenze ricordiamo di controllare con attenzione le staffe. Se anche una sola persona nel momento decisivo della esecuzione dell'opera ricorderà questo commento forse, allora, non avrà morti sulla coscienza.
Commenti del Giovedi >
Thursday, April 02, 2009
Nell'industriale Milano espone un giovane artista romano
Interessante il lavoro dell'artista romano Fabiano Parisi che combina fotografia, pittura e soprattutto indagine psicologica su luoghi e persone abbandonate dal mondo industriale, ma comunque vive. In Mostra a Bollate Milano, dal 17 aprile
Sunday, March 29, 2009
Friday, March 27, 2009
Del dinamismo in rapporto al concetto di Modernità
Ho letto con interesse questo viaggio nel tempo e nello spazio (si tratta di un post di A. Albanese studente Caad 2009) basato su un aspetto "importante" della questione (Modernità Crisi IT) e cioè quello del dinamismo. Il dinamismo è, a ben riflettere, "quasi" sempre componente fondamentale nella ricerca del rapporto tra crisi e modernità.
Ma la chiave per me non è assolutamente il dinamismo per sé! perché altrimenti uno confonderebbe un effetto (pur fondamentale e "spesso" auspicabile) con una causa. La nascita della prospettiva nel XV sec. è caso mai a-dinamica (!) eppure, caspita, se non è modernità quella! Come vede, lei che sa leggere, in questo punto passa una bella differenza tra il sottoscritto e importanti storici con cui ho avuto la grande fortuna di collaborare per anni. Se ne discuterà, se vuole, in classe se vorrà mai prendere l'argomento.
Tuesday, March 24, 2009
Contesto
Ho scoperto che devo assolutamente organizzare una lezione, sarà il prossimo lunedi, sulla parola "contesto" perchè i nostri studenti del laboratorio IV Urban Voids devono affrontare "ora" questo tema
Il secondo significato è penetrato nella cultura italiana soprattutto grazie al romanzo di Leonardo Sciascia. In questo caso "Il Contesto" descrive il quadro sociale, storico e culturale che influenza una condizione dell'operare in un'area specifica.
Naturalmente i due significati spesso si combinano tanto da spingere a pensare al contesto attraverso l'immagine di una tessitura. Questo terzo significato a cui, sono certo, pochi architetti penserebbero, è invece proprio quello "ufficiale" che la lingua italiana dà alla parola (Cfr. Zingarelli, 1990: "Contesto.. 1. lett. Tessitura, intreccio. 2. Il complesso delle idee e dei fatti contenuti in uno scritto o un discorso")
Ma al concetto "fisico" di contesto come rete e tessitura per procedere veramente va aggiunta una componente più magmatica, più fluida, più ibrida che ha a che vedere con le strutture più profonde della psiche.
Questa quarta declinazione "chimica" è associata per me al concetto di Imprinting: e cioè alla teoria che vede nelle fasi formative della vita la creazione di dei pattern, di delle strutture ricorrenti che poi continuano in tutta l'evoluzione successiva. Il concetto non è solo delle scienze naturali, biologiche, psicologiche, comportamentali ma è stato applicato anche in altri settori. E' una condizione primigenia, una infanzia mitica continuamente riproposta nella vita adulta anche se nelle forme imprevedibili dell'arte. ....
Oppure alla lezione e all'audio della lezione tenuta il 30 marzo 2009
Wednesday, March 11, 2009
Thursday, March 05, 2009
Come far bruciare l'acqua e molti perché
Come si fa? Ma nella maniera più semplice e con il materiale più economico: l'acqua! Come si fa a far bruciare l'acqua?. Semplice gli si manda un un fulmine (diciamo elettricità!). Se faccio questo (anche delle piccole scariche elettriche a 12v) si libera un gas (ah sì, si chiama idrogeno!) che brucia!. B R U C I A. Se lo convoglio in una tanica con una valvola ci mando avnti l'automobile il fornello le fabbriche!
Wednesday, March 04, 2009
Ascolta le lezioni di Saggio nel 2009 a La Sapienza.
1. Lez 4 marzo parte A parte B
4. Lez 18 marzo Parte A e parte B
Tuesday, February 17, 2009
Datemi una corda e .. costruirò. Costruzione, Etica, Geometria e Information Technology
Dall'arco al compasso, dalla sezione aurea al logaritmo, dalla geometria operativa di Borromini sino a Louis Kahn, da Jørn Utzon sino ai nuovi architetti informatici, dalla necessità etica della costruzione al Rural studio, questo saggio propone un intreccio fitto di temi. Tiene insieme la scrittura l’attenzione allo strumento, inteso come “materializzazione dello spirito” (Koyré), come tensione che trova proprio nella costruzione dell'architettura un momento di interrogazione delle proprie potenzialità.
E' uscito al prezzo di € 6.95 per copia o 2.50 per il pdf l'atteso nuovo libro sul tema dello strumento. >>>
Sunday, February 15, 2009
Onde di pietra
prefazione di Antonino Saggio a
Cyberstone di C. Pongratz e M. Perbellini
La rivoluzione informatica in architettura, Edilstampa 2009
Read in (rough) English
Nei primi anni di affermazione dell’architettura meccanica e funzionale
si pensava che i nuovi materiali – il ferro, il vetro, il cemento
armato, l’intonaco – fossero ingredienti indispensabili all’affermazione
dei contenuti igienici, razionali ed espressivi della nuova
architettura. Ma già alla metà degli anni Trenta del Novecento, gli
architetti cominciarono a capire che non era il materiale la vera
chiave di volta di un approccio nuovo. Un materiale o una tecnologia,
anche se appena inventata, può essere usata in maniera
aberrante (gli architetti passatisti avevano cominciato ad usare il
cemento armato, ma vi applicavano sopra strati di apparecchiature
decorative), mentre, al contrario, anche un materiale antico
può essere usato in maniera niente affatto scontata: i nuovi architetti
cominciavano a capire infatti come materiali tradizionali potevano
essere adoperati in una logica espressiva e costruttiva contemporanea.
Giuseppe Terragni usava i marmi di rivestimento, Frank Llyod
Wright la pietra da taglio, Gropius il legno, Aalto il mattone. Si
cominciò a capire allora che il colore, il comfort, le stesse proprietà
naturali di deformazione, di assorbimento, di traspirazione
dei materiali naturali erano altrettanto utili di quelli industriali per
affermare i valori complessivi della nuova architettura. Insomma
la chiave, come sempre, sta “nel come”.
Cominciando ormai gli architetti in questi nostri primi anni Duemila,
a vivere le conquiste espressive, processuali e ideative della
Rivoluzione informatica, è iniziato anche il tempo di affrontare
l’uso, proprio all’interno del mondo digitale, del più antico e duraturo
dei materiali. Quello che ha segnato la costruzione dei templi
greci, delle piramidi, dei monumenti romani classici: appunto, la
pietra. E così come gli architetti funzionalisti avevano capito al loro
tempo, anche gli architetti più avvertiti di oggi sanno che il materiale
in quanto tale è inerte. Esso vive solo quando è proiezione
di un desiderio progettuale.
Dentro la pietra vi sono mille forme ed usi possibili ed è solo per
pigrizia che si fa affidamento alle vecchie forme e logiche.
Così, sfogliando questo libro, il lettore scoprirà con stupore e con
autentico piacere, mi auguro, che addirittura il materiale lapideo
può essere impiegato con una logica e una sensibilità digitale.
Scrivono Christian Pongratz e Maria Rita Perbellini che, per
esempio, “il mattone è divenuto un materiale Informatizzato” e
che un muro può essere caratterizzato dalla posizione e dall’orientamento
sempre differenziati di ciascuna unità, per controllare
trasparenza o la trasmissione di luce. Il risultato è un muro che diventa
“un vettore informatico, soggetto a regole matematicamente
comprensibili”. Un muro programmato.
In questo caso gli autori discutono del prodigioso uso di un Robot
per realizzare un muro in mattoni, con una macchina guidata e
programmata via software che non solo dispone i mattoni in maniera
oltre che efficiente anche mutabile ed armoniosa, ma addirittura
che è programmata per l’inserimento della malta tra uno e
l’altro in maniera ogni volta diversa. Un muro di questo tipo ha
proprietà estetiche, pratiche e funzionali veramente elevate e diventa
tendenzialmente anche più economico e più funzionale di
uno tradizionale (come l’esperienza dei due architetti Gramazio
& Kohler dimostra).
Questo libro però non affronta solo gli esempi che hanno a che vedere
con montaggi guidati da una logica digitale di materiali che
hanno una modularità paragonabile al mattone (tessere di pietra
di dimensioni variabili, listelli di marmo, mattoni in laterizio o cemento
eccetera), ma affonda l’analisi proprio sull’uso della vera e
propria pietra da taglio e dei marmi usati quindi in grandi superfici
continue.
Gli autori parlano di “sovvertimento di una vita litica apparente”.
Vuol dire: “e perché mai il marmo e le pietre da taglio devono essere
usati in una logica statica, simmetrica, neo-monumentale e
neo-classica? È forse scritto nel Dna di questi materiali che essi
devono servire a creare edifici statici, pesanti e accademici?”. “Ad
una solidità familiare, nota e rassicurante – aggiungono – lo stesso
materiale risponde a translucenze, a trasparenze lievi, a leggerezze
da sfiorare. I processi della progettazione che si avvalgono di
modalità che derivano dalla tecnologia digitale, si nutrono di sperimentazioni
che arrivano a definire impensabili gamme comportamentali
e espressive dei materiali scelti.”
Sulla base di queste premesse i molti esempi presenti nel libro sono
organizzati in quattro capitoli. Il primo affronta il tema della
“Innovazione litica” cioè l’uso della pietra in progetti che aderiscono
ad una sensibilità contemporanea ed hanno alcuni aspetti
innovativi nelle metodologie di progettazione o esecuzione. Segue
il capitolo sul “Surface design” e cioè la presenza del grande tema
della pixellizzazione superficiale delle pareti che, come si sa, è un
motivo della ricerca espressiva di questi anni e che ha ricadute
molto interessanti proprio nell’uso della pietra, poi il capitolo delle
“Superfici modulate” rese effettivamente vibranti anche attraverso
programmi informatici che richiamano il grande motivo della
frattalità e infine il capitolo “In profondità o con leggerezza”
che basandosi sul lavoro di architetti della rilevanza di Renzo Piano
o Kenzo Kuma fa comprendere tutta intera la complessità del
tema.
Ora bisogna dire con chiarezza che tra gli architetti più sensibili ad
un uso digitale del materiale lapideo, vi sono gli autori stessi di
questo libro che danno più prove del loro talento e del livello della
loro ricerca sperimentale.
Antonello Marotta, che i lettori di questa collana ben conoscono,
scrive su “On&Off” (cfr. “Pongratz-Perbellini” in L’architetto italiano
n. 19) che con la serie Hyperwave – caratterizzata dalla modellazione
di superfici di pietra attraverso algoritmi ed equazioni
differenziali che guidano macchine a controllo numerico – l’esperienza
“da un piano compositivo e spaziale viene spostata su uno
di tipo percettivo e sensoriale. La superficie, nella loro filosofia,
diventa una materia in grado di ritornare ad essere allusiva, sinuosa,
seduttiva, emozionale. (...) Non è un caso che il virtuale abbia
recuperato il mondo delle forme dinamiche, fluide, articolate del
barocco che (grazie a Deleuze e al suo testo La piega) fanno parte
della nostra visione del tempo. Pongratz e Perbellini sono attratti
dal movimento borrominiano delle superfici concave e convesse
che hanno generato una spazialità che porta il visitatore a interagire
con lo spazio. La superficie quindi non è vista come l’elaborazione
di tessiture complesse quanto lo spazio interattivo di dialogo
con l’osservatore. Entriamo in una nuova prospettiva che vede la
materialità come una sostanza dinamica, mossa da una energia interna,
che aziona cortocircuiti: domande, che attivano nuove stimolazioni
percettive”.
Ma il lavoro di Pongratz e Perbellini come pone in essere un’estetica
digitale del materiale lapideo, riesce allo stesso tempo a farsi
programma a tutto campo. È il caso del recupero della cava “La
grotta” a Verona, dove un uso nuovo della pietra, con una logica,
una estetica e una sensibilità algoritmica, si innesta nella cava abbandonata
e entra in un dialogo affascinante con i nuovi innesti
naturali e vegetali che recuperano il luogo.
Christian Pongratz e Maria Rita Perbellini continuano oggi a
mantenere lo studio a Verona, ma la loro ricerca sperimentale, didattica
e teorica è tornata, dopo un lustro di attività in Italia, negli
Stati Uniti. Duole dirlo ma vi è uno spazio troppo piccolo in Italia
per una ricerca seria, innovativa addirittura, in un territorio di
grandissima tradizione industriale come quello delle pietre e la
strada dell’emigrazione intellettuale è obbligata. Fare capitelli e
apparati decorativi usando macchine a controllo numerico – come
l’università che ha rifiutato spazio operativo ai nostri due brillanti
architetti – non è avanzamento culturale e scientifico. È un pensare
alla tecnologia come se essa fosse un semplice utensile. Il libro
Cyberstone fa vedere al contrario che la pietra può materializzare
uno spirito, rendere reale un sogno in un processo di progettazione
e costruzione nuovo e intimamente contemporaneo. Questo è
il tipo di ricerca che può schiudere anche economicamente vitali
potenzialità al domani.
Collana e primo capitolo >>
Wednesday, February 11, 2009
Risarcimento terapeutico
prefazione di AS al Libro di Rudolf Klein, Zvi Hecker. Oltre il riconoscibile, >>
Febbraio 1999: due libri della Universale di Architettura si occupano di Berlino. Uno è il numero 47, dedicato alla nuova ala del Museo Ebraico che una lunga fila di persone sotto la neve scopre proprio in quei giorni, l'altro è il numero il 32 dedicato alla Scuola ebraica di Zvi Hecker, che poteva essere visitata solo con l'architetto. E fu una grande gioia.
Febbraio 2000: all'indomani della improvvisa scomparsa del fondatore dell'Universale, nasce l'idea di due monografie sull'opera degli architetti di quei due "Capolavori". Il numero cento di questa collana ha assolto la metà del compito, questo volume scritto con grande precisione, cultura e intelligenza da Rudolf Klein completa l'idea.
L'associazione tra queste due opere però non è solo geografica e cronologica (entrambe sono costruite negli anni intensi della riunificazione), oppure autoriale (sia Hecker che il 15 anni più giovane Daniel Libeskind sono architetti ebrei, polacchi di nascita, formatisi sia in Israele che in altre parti del mondo per approdare nel corso degli anni Novanta a Berlino).
La ragione ancora più profonda del legame credo risieda in due parole: la prima è "risarcimento", la seconda "architettura terapeutica".
Il Museo fa i conti con il passato, non lo esorcizza ma lo rende dilaniantemente presente; la Scuola si misura con il futuro e con un'idea di comunità. Il Museo e la Scuola, insieme a Berlino, danno corpo a un bisogno di ricostruzione che tutta la civiltà occidentale e in particolare quella tedesca devono al popolo ebraico dopo l'Olocausto.
L'architettura dei nostri giorni riesce a operare questa ricostruzione simbolica, questo risarcimento" perché ha finalmente riconquistato la parola.
Superata la fase funzionalista, in cui l'espressione e il messaggio doveva essere tautologico (l'architettura esprimeva il suo stesso funzionamento, il suo stesso essere macchina) l'architettura di oggi può veicolare finalmente anche messaggi complessi, stratificati, assolutamente anti-retorici. I suoi discorsi possono evitare la magniloquenza accademica del potere, o il trionfo del denaro e del mercato, per vibrare anche nelle coscienze e nella storia.
"Hecker utilizza sempre referenti geometricamente chiari: cristalli, girasoli, serpenti. Questi referenti rappresentano contemporaneamente i principi spaziali e organizzativi di base, e non un semplice rivestimento esteriore".
L'autore di questo libro, anche attraverso un serrato confronto con l'architetto, compie un excursus mirabile e nuovo anche perché tiene sempre collegata la ricerca specifica di Hecker con il contesto in cui essa si muove. Il lettore avrà modo così di capire a fondo i processi mentali e culturali che hanno portato ai risultati costruiti. Emerge da questo percorso che l'idea del paesaggio in Hecker è come una macrometafora che ingloba le idee più puntuali adottate volta per volta. E si tratta naturalmente di un paesaggio non pacificato, non romanticamente inteso, ma spesso dilaniato e, come nella installazione alla Biennale del 2000, estremamente evocativo.
Eppure questi paesaggi e quindi le architetture di Hecker hanno anche un'altra componente, a lui fortemente propria. Sono, come dire, "Paesaggi terapeutici" perché ci aiutano, senza mai illuderci, a intravedere una strada possibile, una maniera di misurarci con il reale conformandolo ai desideri più profondi. La sua opera ci dà così la speranza che l'architettura in definitiva curi, salvi, redima. Potrebbe essere, come disse nel settembre del 2001 Jaron Lanier, che l'architettura, come l'arte, serva a impedire alle persone di commettere suicidio.
L’Architettura spogliata dei suoi orpelli
di Zvi Hecker Architetto Berlino
L'architetto Zvi Hecker ha preso alcuni giorni fa una posizione molto decisa sulla crisi economica mondiale ricordandone le responsabilità anche da parte della cultura architettonica contemporanea. Mi ha fornito gentilmente la versione italiana del suo intervento che qui rendiamo pubblica. In questa occasione ricordiamo la Monografia che gli ha dedicato Rudolf Klein nella collana Gli Architetti e riproponiamo anche la Prefazione di as che non è mai stata pubblicata sul web. >>
Il progressivo sviluppo della crisi economica a livello mondiale non compromette soltanto il generale benessere di ogni individuo e della società, ma è destinato a produrre uno spostamento radicale della nostra sensibilità estetica.
Colti impreparati dal crollo delle borse e dalla profonda difficoltà in cui versano gli organismi finanziari, non dovremmo però sorprenderci per il sempre più visibile declino etico e morale che ha per primo generato questa crisi economica.
L’erosione dei principi etico - morali causata da una svalutazione della responsabilità personale e dalla sostanziale istituzionalizzazione dell’ingiustizia e ineguaglianza sociale potrebbe rivelarsi più distruttiva di un’azione militare. Le lapidi della Storia rivelano i nomi di svariate potenze militari che hanno fatto la loro comparsa e si sono successivamente eclissate insieme alle loro strutture politiche, talvolta ancor prima che le proprie legioni raggiungessero il campo di battaglia. Ricostruire quei fondamenti etici e morali che sono stati minati nella odierna crisi economica sarà più impegnativo e richiederà più tempo di quanto ne sia occorso per stimolare l’appetito verso il consumismo, sponsorizzato dal capitale e guidato dal principio della paura.
L’Architettura, nel suo interesse per la condizione umana, rappresenta parte integrante del panorama economico. Per questo non può essere separata dalla dimensione etica e morale insita in questa crisi economica, e nemmeno può ritenersi immune nei confronti della recessione economica e dall’affacciarsi di una nuova prospettiva estetica.
Per più di un decennio l’architettura ha risucchiato risorse finanziare, in qualche modo astratte e a buon mercato, destinate ad alimentare un eccesso edilizio, collassato nei mutui sub-prime.
Progetti astratti si sono solidificati in forma Architettonica, e, sponsorizzati dalle borse e dal mercato petrolifero, si sono insediati in ambiti di profonda ingiustizia sociale e si sono sviluppati spesso senza considerazione per il loro impatto ambientale. Il mercato immobiliare, travestito da Architettura, falsamente avvolto da un manto di sostenibilità, si è rivelato un terreno fruttuoso per del capitale in eccesso, assorbendo nelle sue geometrie sempre più contorte, denaro che avrebbe potuto essere investito in altri modi.
Più oscuri e irresponsabili a livello ambientale gli investimenti finanziari, più eccessiva la loro espressione Architettonica. Nella sua versione estrema la sola presenza di una Architettura è diventata la sua una funzione, proprio come la crescita gonfiata del mercato finanziario ha costituito la sua unica raison d’être.
L’Architettura, come del resto il mondo intero, ha voltato lo sguardo dal problema della povertà e dai conflitti del pianeta. Ugualmente indifferente all’etica, l’Architettura ha preferito glorificare la potenza e il fervore dei giochi di prestigio finanziari. Avvolta in strati di orpelli, glamour e ornamentali, ha mascherato la sua genesi narcisistica.
Stranamente questa Architettura autoreferenziale di irrisoria profondità concettuale è stata a lungo considerata l’evidenza dello sfaccettato talento dell’Architetto. Inibito a lungo dell’esprimere il proprio talento, questo esperto intraprendente ha risposto con voracità alle richieste di colonizzazione d’oltreoceano di abbellire regimi repressivi con consunte immagini architettoniche. Ossessionata soltanto dalla massiva visibilità, l’Architettura si è affidata alla visione dell’”Architetto come Artista”, tenuto a rendere conto solo alle proprie inspirazioni e desideri, “Architetto come Designer”, occupato nella creazione di abiti, collezioni di moda, portacenere e borsette da viaggio, “Architetto come Intrattenitore”, che mette in scena spettacoli pseudo intellettuali.
Senza più bisogno di seguire le regole della logica, coerenza e chiarezza dei piani, l’”Architetto come Architetto” è presto diventato irrilevante. Ecco perché negli ultimi anni così pochi progetti veramente innovativi sono apparsi, concernenti il vero cuore dell’Architettura: soluzioni per housing, pianificazione urbana, integrazione degli emarginati sociali, temi che sono stati la base del Movimento Moderno.
Senza motivi per innovare e sperimentare, l’Architetto si è cullato nell’opera di generazioni precedenti, in una forma di parassitismo. Vecchi schemi architettonici e piani rispolverati sono stati tranquillamente riciclati e rivestiti di differenti materiali, il vetro in prima posizione. Per amplificare la sua attrattiva, facciate vetrate sono state pubblicizzate come soluzioni sostenibili e compatibili con l’ambiente. Fortemente dipendenti da processi sofisticati e high-tech nel loro funzionamento e mantenimento, con questi slogan ecologici hanno sfuggito verifiche e opposizioni.
D’altronde, paradossalmente, questa Architettura in vetro ha trovato il suo partner-vittima nel mondo della finanza e del business internazionale. Nel suo appellarsi al valore della trasparenza, l’Architettura in vetro ha provveduto al consenso e ha fornito il miglior alibi per i loschi affari che ha racchiuso così elegantemente. In questa crisi l’alibi del vetro potrebbe non sopravvivere, e rivelarsi insufficiente a recuperare la fiducia persa nelle manovre del commercio.
Anche Berlino, non ancora preda dell’isteria dello sviluppo capitalista, ha alla fine ceduto alle pressioni storiciste, volte alla promozione di una nostalgia architettonica, invece che rivalutare l’eredità del modernismo radicale che la città ha ospitato con orgoglio. La genealogia pseudo aristocratica di Berlino sarà ripristinata nella costruzione della falsa facciata del Berliner Stadtschloss del XVIII secolo. La replica del castello, di non particolare interesse architettonico già all’epoca, diventerà una farsa. È ironico che la Berlino contemporanea non sia in grado di distinguere fra un recupero stilistico e vera originalità, escludendo la possibilità che un eventuale capolavoro venga riconosciuto e accolto favorevolmente.
Essenzialmente, ogni crisi economica non solo apre una rottura con il passato prossimo, ma è l’occasione di un notevole cambiamento, un’opportunità per andare oltre lo status quo e lasciare un’impronta del proprio tempo.
La crisi del `29 e la Grande Depressione che seguì è stata una forte spinta che ha fatto tabula rasa degli ornamenti del classicismo di tardo ‘800. Bianca, semplice, senza decorazioni, l’Architettura che ne risultò fu una chiara rottura con il passato e una totale negazione con ciò che andava a sostituire.
Le radici basilari di queste due crisi, nonostante gli 80 anni che le separano, germinano da un terreno contaminato dalla disonestà in cui le istituzioni finanziarie sono cadute.
Sarà necessario un approccio etico-morale per rimettere in moto la creatività messa a tacere da questa decadenza generale. Seguirà un cambiamento della nostra percezione estetica.
L’inevitabile rallentamento dell’edilizia e l’apparire di un diverso approccio estetico costituiranno un terreno fertile per la nascita di idee nuove. Queste saranno pensate, sviluppate e codificate, proprio come note musicali, per mezzo dei disegni architettonici, costruite anni più tardi, quando l’economia si risolleverà.
La forma architettonica è l’immagine riflessa dell’idea che è insita nella pianta. La gerarchia della scala umana è la sua misura, e la chiarezza delle intenzioni è la sua bellezza. Unisce necessità e sogni in sensibilità estetiche sempre nuove. Questo dualismo inseparabile è ciò che fa dell’Architettura un mestiere così profondo.
Secoli di dedizione creativa e il manifestarsi di nuove idee hanno generato una ricca tradizione architettonica. Questa eredità è consegnata a noi a condizione che la nostra generazione la arricchisca e ne allarghi gli orizzonti.
Nel nostro mondo in continuo mutamento, l’eterno valore dell’Architettura risiede nel suo insito idealismo e nella sua responsabilità nell’alleviare l’essenza della condizione umana. Nuove idee sono il solo strumento adatto a questo scopo.
Architecture is a human art, never humane enough.
Zvi Hecker
Gennaio 2009
(Tradotto dall’inglese da Marco Capitanio)