Sunday, February 15, 2009

Onde di pietra


prefazione di Antonino Saggio a
Cyberstone di C. Pongratz e M. Perbellini
La rivoluzione informatica in architettura, Edilstampa 2009

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Nei primi anni di affermazione dell’architettura meccanica e funzionale
si pensava che i nuovi materiali – il ferro, il vetro, il cemento
armato, l’intonaco – fossero ingredienti indispensabili all’affermazione
dei contenuti igienici, razionali ed espressivi della nuova
architettura. Ma già alla metà degli anni Trenta del Novecento, gli
architetti cominciarono a capire che non era il materiale la vera
chiave di volta di un approccio nuovo. Un materiale o una tecnologia,
anche se appena inventata, può essere usata in maniera
aberrante (gli architetti passatisti avevano cominciato ad usare il
cemento armato, ma vi applicavano sopra strati di apparecchiature
decorative), mentre, al contrario, anche un materiale antico
può essere usato in maniera niente affatto scontata: i nuovi architetti
cominciavano a capire infatti come materiali tradizionali potevano
essere adoperati in una logica espressiva e costruttiva contemporanea.
Giuseppe Terragni usava i marmi di rivestimento, Frank Llyod
Wright la pietra da taglio, Gropius il legno, Aalto il mattone. Si
cominciò a capire allora che il colore, il comfort, le stesse proprietà
naturali di deformazione, di assorbimento, di traspirazione
dei materiali naturali erano altrettanto utili di quelli industriali per
affermare i valori complessivi della nuova architettura. Insomma
la chiave, come sempre, sta “nel come”.

Cominciando ormai gli architetti in questi nostri primi anni Duemila,
a vivere le conquiste espressive, processuali e ideative della
Rivoluzione informatica, è iniziato anche il tempo di affrontare
l’uso, proprio all’interno del mondo digitale, del più antico e duraturo
dei materiali. Quello che ha segnato la costruzione dei templi
greci, delle piramidi, dei monumenti romani classici: appunto, la
pietra. E così come gli architetti funzionalisti avevano capito al loro
tempo, anche gli architetti più avvertiti di oggi sanno che il materiale
in quanto tale è inerte. Esso vive solo quando è proiezione
di un desiderio progettuale.
Dentro la pietra vi sono mille forme ed usi possibili ed è solo per
pigrizia che si fa affidamento alle vecchie forme e logiche.
Così, sfogliando questo libro, il lettore scoprirà con stupore e con
autentico piacere, mi auguro, che addirittura il materiale lapideo
può essere impiegato con una logica e una sensibilità digitale.
Scrivono Christian Pongratz e Maria Rita Perbellini che, per
esempio, “il mattone è divenuto un materiale Informatizzato” e
che un muro può essere caratterizzato dalla posizione e dall’orientamento
sempre differenziati di ciascuna unità, per controllare
trasparenza o la trasmissione di luce. Il risultato è un muro che diventa
“un vettore informatico, soggetto a regole matematicamente
comprensibili”. Un muro programmato.
In questo caso gli autori discutono del prodigioso uso di un Robot
per realizzare un muro in mattoni, con una macchina guidata e
programmata via software che non solo dispone i mattoni in maniera
oltre che efficiente anche mutabile ed armoniosa, ma addirittura
che è programmata per l’inserimento della malta tra uno e
l’altro in maniera ogni volta diversa. Un muro di questo tipo ha
proprietà estetiche, pratiche e funzionali veramente elevate e diventa
tendenzialmente anche più economico e più funzionale di
uno tradizionale (come l’esperienza dei due architetti Gramazio
& Kohler dimostra).

Questo libro però non affronta solo gli esempi che hanno a che vedere
con montaggi guidati da una logica digitale di materiali che
hanno una modularità paragonabile al mattone (tessere di pietra
di dimensioni variabili, listelli di marmo, mattoni in laterizio o cemento
eccetera), ma affonda l’analisi proprio sull’uso della vera e
propria pietra da taglio e dei marmi usati quindi in grandi superfici
continue.
Gli autori parlano di “sovvertimento di una vita litica apparente”.
Vuol dire: “e perché mai il marmo e le pietre da taglio devono essere
usati in una logica statica, simmetrica, neo-monumentale e
neo-classica? È forse scritto nel Dna di questi materiali che essi
devono servire a creare edifici statici, pesanti e accademici?”. “Ad
una solidità familiare, nota e rassicurante – aggiungono – lo stesso
materiale risponde a translucenze, a trasparenze lievi, a leggerezze
da sfiorare. I processi della progettazione che si avvalgono di
modalità che derivano dalla tecnologia digitale, si nutrono di sperimentazioni
che arrivano a definire impensabili gamme comportamentali
e espressive dei materiali scelti.”

Sulla base di queste premesse i molti esempi presenti nel libro sono
organizzati in quattro capitoli. Il primo affronta il tema della
“Innovazione litica” cioè l’uso della pietra in progetti che aderiscono
ad una sensibilità contemporanea ed hanno alcuni aspetti
innovativi nelle metodologie di progettazione o esecuzione. Segue
il capitolo sul “Surface design” e cioè la presenza del grande tema
della pixellizzazione superficiale delle pareti che, come si sa, è un
motivo della ricerca espressiva di questi anni e che ha ricadute
molto interessanti proprio nell’uso della pietra, poi il capitolo delle
“Superfici modulate” rese effettivamente vibranti anche attraverso
programmi informatici che richiamano il grande motivo della
frattalità e infine il capitolo “In profondità o con leggerezza”
che basandosi sul lavoro di architetti della rilevanza di Renzo Piano
o Kenzo Kuma fa comprendere tutta intera la complessità del
tema.

Ora bisogna dire con chiarezza che tra gli architetti più sensibili ad
un uso digitale del materiale lapideo, vi sono gli autori stessi di
questo libro che danno più prove del loro talento e del livello della
loro ricerca sperimentale.
Antonello Marotta, che i lettori di questa collana ben conoscono,
scrive su “On&Off” (cfr. “Pongratz-Perbellini” in L’architetto italiano
n. 19) che con la serie Hyperwave – caratterizzata dalla modellazione
di superfici di pietra attraverso algoritmi ed equazioni
differenziali che guidano macchine a controllo numerico – l’esperienza
“da un piano compositivo e spaziale viene spostata su uno
di tipo percettivo e sensoriale. La superficie, nella loro filosofia,
diventa una materia in grado di ritornare ad essere allusiva, sinuosa,
seduttiva, emozionale. (...) Non è un caso che il virtuale abbia
recuperato il mondo delle forme dinamiche, fluide, articolate del
barocco che (grazie a Deleuze e al suo testo La piega) fanno parte
della nostra visione del tempo. Pongratz e Perbellini sono attratti
dal movimento borrominiano delle superfici concave e convesse
che hanno generato una spazialità che porta il visitatore a interagire
con lo spazio. La superficie quindi non è vista come l’elaborazione
di tessiture complesse quanto lo spazio interattivo di dialogo
con l’osservatore. Entriamo in una nuova prospettiva che vede la
materialità come una sostanza dinamica, mossa da una energia interna,
che aziona cortocircuiti: domande, che attivano nuove stimolazioni
percettive”.
Ma il lavoro di Pongratz e Perbellini come pone in essere un’estetica
digitale del materiale lapideo, riesce allo stesso tempo a farsi
programma a tutto campo. È il caso del recupero della cava “La
grotta” a Verona, dove un uso nuovo della pietra, con una logica,
una estetica e una sensibilità algoritmica, si innesta nella cava abbandonata
e entra in un dialogo affascinante con i nuovi innesti
naturali e vegetali che recuperano il luogo.

Christian Pongratz e Maria Rita Perbellini continuano oggi a
mantenere lo studio a Verona, ma la loro ricerca sperimentale, didattica
e teorica è tornata, dopo un lustro di attività in Italia, negli
Stati Uniti. Duole dirlo ma vi è uno spazio troppo piccolo in Italia
per una ricerca seria, innovativa addirittura, in un territorio di
grandissima tradizione industriale come quello delle pietre e la
strada dell’emigrazione intellettuale è obbligata. Fare capitelli e
apparati decorativi usando macchine a controllo numerico – come
l’università che ha rifiutato spazio operativo ai nostri due brillanti
architetti – non è avanzamento culturale e scientifico. È un pensare
alla tecnologia come se essa fosse un semplice utensile. Il libro
Cyberstone fa vedere al contrario che la pietra può materializzare
uno spirito, rendere reale un sogno in un processo di progettazione
e costruzione nuovo e intimamente contemporaneo. Questo è
il tipo di ricerca che può schiudere anche economicamente vitali
potenzialità al domani.

Collana e primo capitolo >>

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