Laboratorio IV 2013
Insegnare è difficilissimo, ma imparare rappresenta una difficoltà, come dire, elevata al cubo.
Le fatiche dell’apprendimento, però, dipendono in buona parte da una componente abbastanza semplice da comprendere: i cattivi maestri.
In qualsiasi interazione umana è, come è del tutto ovvio, proprio la componente umana quella decisiva. Incontrare un buon maestro nella vita equivale ad un’epifania, a un evento veramente raro.
È quindi fondamentale riuscire a distinguere i buoni maestri dai cattivi: capire quando una persona ci aiuta a crescere e ci insegna ad imparare, quando chi ci parla ci dà degli strumenti che hanno la capacità di crearne altri e quindi di moltiplicarsi.
Bisogna capire insomma chi ci arma e chi ci disarma, chi ci mette in un sistema di recinti, di fortezze concatenate l’una con l’altra. Tali fortezze, sono conoscenze apparentemente utili e necessarie, ma che non aiutano a crescere, non risultano propulsive e ci tengono invece bloccati e chiusi.
La vita dei giovani è estremamente complicata e la mancanza di esperienza rende difficile comprendere subito questi processi.
Quindi apprendere è sotto certi aspetti molto più difficile che insegnare, dicevamo, se non altro perché il docente ha la possibilità di stratificare le conoscenze, di coltivare un insieme di tecniche relative al suo mestiere e di trasmettere, per ruolo e posizione, sicurezze e garanzie.
Tuttavia uno dei fenomeni che più sgomentano i docenti è quello di rendersi conto di non aver insegnato "nulla" allo studente. Quando lo studente viene decontestualizzato (inserito in un altro corso con un altro docente oppure se cambia disciplina), a volte non risulta essere in grado di adoperare quegli strumenti che sembrava aver assimilato in tutta efficienza e sicurezza.
Forse si tratta di un percorso molto più lungo rispetto a quello che avviene nei pochi mesi di insegnamento di un corso e la "composizione" chimica dei saperi dentro il fare rimane un processo tendenzialmente infinito.
E meno male che a volte si vedono esiti comunque molto interessanti.
Uno degli strumenti che adopero per sviluppare la capacità nello studente di costruzione di un sapere critico, è la creazione della cosiddetta scacchiera. La parola utilizzata è puramente convenzionale, ma allo stesso tempo è rivelatrice. La parola scacchiera è infatti interrelata alla parola gioco, che è un componente imprescindibile del lavoro di progettazione e probabilmente, tout court, di ogni attività lavorativa.
Gioco, certo, ma in che senso?
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Il mondo accademico e quello in generale della scuola ha da sempre circoscritto il gioco in una zona negativa, puerile, che nulla ha a che vedere con la “creatività adulta”, insomma una banale perdita di tempo.
Ciò è quanto di più lontano si possa pensare, da quello che in realtà il gioco è.
Se c’è un costrutto dell’umanità che crea un rapporto fortissimo tra regole, variazioni e raggiungimento di obiettivi, questo è il gioco.
Basti pensare agli scacchi, ma anche a giochi più semplici. Essi si compongono di: un sistema di regole, un sistema di variazioni e soprattutto una ricerca di obiettivi. Il fine da raggiungere è quindi il fattore fondamentale del gioco.
L’aspetto iterativo/processuale del gioco consente di sviluppare una strumentazione nello studente per cui egli diventa capace di costruire le regole del proprio gioco, al fine di avere un processo iterativo che gli consenta di raggiungere le finalità di progetto.
Come si realizza, in pratica, la scacchiera?
Dopo circa sei settimane dall'inizio del corso, definiti i ruoli del committente e i vincoli contestuali dell'area di progetto, emerge la necessità di elaborare le principali relazioni volumetriche e spaziali del progetto.
Viene creato un campo di ricerca possibile per i ragazzi, dato dall’utilizzo del volume “Architettura e modernità” nel quale è possibile trovare degli esempi alti di progetti di architettura.
In una fase in cui non si riesce a distinguere l’originale dalla copia, non si distingue Gesù Cristo dagli evangelisti, il libro è uno strumento utile grazie al quale lo studente è aiutato a contestualizzare e storicizzare le opere in relazione alla realtà. Le opere di architettura contenute in esso costituiscono di fatto elementi da analizzare con attenzione.
In sintonia con le ricerche effettuate, lo studente giunge all’individuazione di un’opera architettonica che è allo stesso storicamente significativa e con la quale stabilire una potenziale affinità.
Barbara Kruger, Untitled 2006
Fatto questo, qual è il passo successivo?
Il passo successivo è appunto creare, la scacchiera. La scacchiera è una parola gergale e sta per “insieme di componenti disassemblate, smontate in piccole parti, che possono consentire sia di ricreare l’originale architettonico da cui erano desunte ma anche, proprio perché smontate, consentire di creare infinite variazioni sul tema”.
Tutto ciò porta a padroneggiare un vasto campionario di alternative compatibili con l'opera analizzata da una parte e con la situazione specifica del proprio progetto dall'altro.
La cosiddetta scacchiera serve a far capire come un insieme di variazioni su un tema plastico e spaziale, in realtà non sono variazioni astratte, bensì variazioni fortemente indirizzate al raggiungimento delle finalità del gioco ovvero, dal punto di vista architettonico a come ottimizzare il contesto, come lavorare sul perfezionamento degli aspetti organizzativi, come ottimizzare i fattori bioclimatici eccetera.
La questione degli strumenti è quindi del tutto rilevante all’interno del dibattito che stiamo svolgendo sulla didattica.
Racconto un aneddoto esplicativo a tal proposito: dopo gli anni della mia esperienza di insegnamento al Politecnico di Zurigo, sono invitato dalla mia Università la Sapienza di Roma in Mozambico per un periodo di insegnamento che si protrarrà per circa un anno e mezzo.
Dopo circa due semestri, iniziai a divenire una figura scomoda agli occhi del preside locale, perché, semplicemente, facevo il mio mestiere: insegnavo e fornivo degli strumenti agli studenti.
Insegnare ad usare un blog, a diffondere le conoscenze, a condividere un progetto, ad accedere all’informazione, a scegliere i libri “buoni” e soprattutto ad articolare un pensiero progettuale e a verificarlo con i ferri del mestiere dell'architetto può diventare una pratica molto pericolosa per chi deve mantenere posizioni oligarchiche e di privilegio.
Intervento alla 3 giorni di Altamura, Agosto 2011 non presente integralmente nel volume in stampa.
Saggio e un gruppo di suoi studenti alla Fapf di Maputo; Mozambico maggio 1995