Inaugurata la mostra "Paolo Meluzzi e il dibattito low rise – high density (1960-2000)" venerdì 22 settembre 2017 alle ore 18.30, Galleria Embrice Roma - Via delle Sette Chiese, 78 Tel. 06. 64521396. Importante l'iniziativa di Carlo Severati e riuscito il catalogo a cura di Stefania Bedoni.
Ecco il mio testo:
Paolo Meluzzi. Fratello maggiore: allegro, competente, disponibile.
Con gioia aderisco all’invito di Carlo Severati a scrivere su Paolo Meluzzi cui ero legato da profonda amicizia e rispetto.
Sono grato a Carlo e alla Galleria Embrice di questa iniziativa: santa e benedetta. Luigi, con cui ho condiviso tanto “Paolo” so che ha scritto sui nostri anni universitari e non vorrei ripetermi. Paolo è stato molto importante per noi, attenuava alcune rigidità di Carlo Melograni. Ricordo che in quel 1979 il prof. Melograni non aveva ancora sdoganato Ralph Erskine per esempio. Noi provavano nella nostra tesi di laurea a fare un piccolo Byker wall - un muro ondeggiante in pianta e alzato - per contenere il tessuto basso e compatto con cui proponevamo un cuci e scuci per operare nel tessuto esistente delle Casette Pater, la borgata storica di Acilia. Il nostro Byker wall fu clamorosamente bocciato, come una casa bassa con un patio tagliato in diagonale, ma questa casa mi ostinai a disegnare lo stesso e presentare “comunque" nella tesi. Se Carlo Melograni era evidentemente il relatore della nostra tesi, Paolo, come correlatore, attenuava, reindirizzava, riapriva le questioni. Ricordo sempre quando ci disse qualcosa come “Luigi e Nino il progetto deve essere allegro!”. E Paolo era una persona sostanzialmente allegra senza mai essere né ridanciano, né battutista: ma si divertiva con noi, che eravamo evidentemente dei personaggetti bizzarri, che entravamo a volte in assurde paranoie giovanili, che avevamo ragazze belle e affascinanti, in primis Donatella, ma non solo. Fu con Stefania Bedoni sua moglie e assistente di me e Luigi all’inizio della nostra attività e di cui entrambi eravamo studenti, il nostro “testimone” virtuale quando con Donatella ci sposammo il giorno prima di partire per l’America. E tante e tante volte stavamo a studio con lui, prima a Piazzale Belle Arti, poi a Via di Ripetta e molte volte anche nella spettacolare casa, lì sulla rupe del Borghetto Flaminio disegnata da Enrico Mandolesi ma da lui e da Stefania resa semplicemente meravigliosa. Dello studio poi avevamo le chiavi, un privilegio non da poco se ci si pensa, e io lo usavo parecchio. Vi era dunque un profondo rapporto personale. Finita la tesi Paolo invitò Luigi e me a collaborare a ben tre progetti di case in cooperativa. Ci lavorammo dal gennaio del 1980 al luglio (e ci pagò pure di sua sponte). Si trattava di tre interventi per lo Iacal (Istituto autonomo cooperative laziali diretto da un suo caro amico) che dovevano essere realizzati all’interno delle normative del nuovo Piano decennale, si chiamava cosi?, che creava standard vincolanti. Le camere doppie dovevano essere di 14 mq, le singole di 9 ci doveva essere una superficie massima per numero di abitanti previsti eccetera. Se non si aderiva a questi standard, non vi poteva avere nessun finanziamento pubblico. Noi freschi di laurea sul tema residenziale - e piccoli specialisti in erba - ci buttammo a pesce nell’esperienza concreta. Se devo dire con franchezza, non credo veramente che il mio contributo sia stato un granché. Ho appreso 98 e forse, dico forse, contribuito 2.
Ciò non dimeno Paolo ci citò come collaboratori nella pubblicazione dei progetti. Tanto per dire chi era Paolo: una persona generosa dentro. I progetti dunque erano sostanzialmente tutta farina del suo sacco, li potete andare a vedere i progetti se volete. Quello a Tolfa, paese che conoscevo bene perché la mia fidanzata degli anni giovanili aveva una casa nella parte antica del paese, si sviluppava su una strada interna che aveva residenze ai due lati. La sezione del progetto era molto articolata con parcheggi da una parte e una sorta di percorso pensile che serviva le case più a monte. Lo chiamavano così, “Percorso Pensile”, perché era il titolo di un numero monografico a cura di Carlo Melograni e dell’intera squadra della sua cattedra (“Edilizia Popolare” n. 140), oltre a Paolo, Marta Calzolaretti, Andrea Vidotto, Piero Ostilio Rossi e Ranieri Valli che stavano formando in quegli anni lo studio P+R associati. Tornando ai 34 alloggi a Tolfa ricordo quando Paolo disegnò due case di testata molto belle e armoniose. Vedere Paolo lavorare era bello per noi: introiettavamo naturalmente dei metodi, dei pensieri, degli strumenti. Dico spesso nel lavoro che faccio ogni giorno che non esiste niente come la bottega, certe cose non si insegnano né si imparano… si inalano, come mi disse Zevi una volta.
Dopo queste case, Paolo disegnò, sempre con me e Luigi come piccoli assistenti, delle case in cooperativa a Cerveteri. Erano molto belle ed interessanti. Di nuovo un percorso pensile di un blocco compatto a zig zag da cui si scendeva a delle case o si saliva. Era un interessante combinazione di case servite in linea e di case servite a schiera (in questo caso a percorso pensile). Nel frattempo uscì anche il numero, “Case basse ad alta densità” (“Edilizia Popolare” n. 157) in cui - incredibile ma vero! - vi era pubblicata la tesi di Luigi e mia (meno male che avevamo tolto il muro alla Byker): un onore stratosferico per noi, di cui vissi di rendita per alcuni anni. Comunque le case di Cerveteri avevano tante cose interessanti e secondo me costituiscono forse il capolavoro di Paolo. Innanzitutto proponevano un eccezionale sfruttamento dell’area disponibile che era conformata con un particolare lotto trapezoidale. Non si sa come riuscì armoniosamente ad inserire 16 alloggi di 85 metri quadri per cinque persone ciascuno. Lo schema distributivo era brillante, intelligente, efficientissimo. Il cuore era costituito dal percorso pensile che procedeva scattando in pianta per seguire i confini dell’area di edificabilità, ma il cui andamento si rivelava bello per evitare monotonie e allineamenti da caserma. Il piano del percorso pensile copriva i parcheggi sottostanti che creavano una bella zona d’ombra che sollevava l’edificio dal suolo. Dal percorso pensile venivano serviti otto appartamenti “a piani sfalsati”. Si trattava di un’altra novità, raramente usata in italia: cioè dalla quota del percorso pensile si saliva o si scendeva di mezzo piano. La cucina-pranzo era alla stessa quota del percorso, ma con una rampa sola di scale si “scendeva” al soggiorno con giardino e con una sola rampa si “saliva” alle camere da letto. Sapientemente incastrate ogni due alloggi lungo il percorso, vi era una scala cui si saliva per accedere ad un’altra coppia di alloggi, di nuovo a piani sfalsati, sovrapposti ai precedenti e quasi identici ma che invece del giardino avevano un’ampia terrazza. Ammazza quanto era bravo Paolo! Una delle cinque persone richieste dallo standard era alloggiata nella famosa camera “jolly”, cioè uno studio di 9 metri quadri, aperto sul soggiorno ma richiudibile e assimilabile per legge a una camera singola. Un vero trucco, che risolveva venti cose contemporaneamente. I prospetti erano portati a casa da Paolo con mano sicura, accoppiando le finestre per fargli avere un ritmo compatto, inserendo begli episodi plastici con le scale al percorso pensile nelle due testate, con un uso sobrio ma efficace di blocchetti di tufo e con i marcapiani e e architravi in cemento a faccia vista. L’ultimo intervento si realizzò con 57 alloggi a Ladispoli inserite in un edifico con altezza variabile dai sei ai quattro piani (con ottimi appartamenti serviti in linea) e in un edificio a due piani con delle case a patio interessanti. Ma Cerveteri è imbattibile. Ci sono affezionato solo io? No! Fatemi vedere un sistema residenziale migliore realizzato in Italia in quegli anni e vi regalo il mio libro su Sauer.
Eh si, perché dopo questi lavori e dopo il coinvolgimento di me e Luigi in una ricerca universitaria di Carlo Melograni e Marta cui lavorammo con una passione infinita (e su cui entrambi e anche altri amici e amiche attinsero e noi vi vincemmo due concorsi), dopo la partecipazione con alcuni contributi questa volta originali ai due concorsi per una piazza a Genzano (con Donatella Orazi e Stefania Bedoni) e per Piazza dei Mulini (con l’intera squadra culturale del prof. Melograni e che aveva come capogruppo Ranieri Valli) ebbene dopo tutto queste cose stava cominciando la fase in cui io davo “indietro” un contributo a Paolo e al filone culturale su cui mi ero formato. Partii per l’America nel 1983, sostenuto da una borsa Fulbright, per lavorare, studiare e insegnare con Louis Sauer, In poco tempo (e molte nevrosi di crescita) compii un balzo prodigioso. Avevo capito nel corpo vivo del “development process" come si lavorava concretamente nel Low rise - High density a contatto giornaliero con Louis Sauer, cioè il più bravo al mondo. A voglia d’inalare!. Assorbii tutto come studente, come assistente, come giovane docente, come ricercatore, come progettista. Tornato ancora dottorando del primo anno, Paola Coppola decise di dedicare il secondo libro della collana ufficiale del nostro Dipartimento di Architettura e Progetto appena iniziata con un libro di Luigi Gazzola (Architettura e tipologia, Officina 1987) al mio lavoro su Sauer e le case basse (Louis Sauer un architetto americano, Officina 1988). Questo libro rappresentava un insieme fantasmagorico di esempi nella città costruita che faceva compiere al filone di Melograni e di Paolo, un vero e proprio salto per invenzione distributiva, per forza realizzativa, per sapienza di inserimento nella città costruita: insomma era un contributo. Paolo mi invitò tante volte a parlarne e ci sono architetti oggi cinquantenni che non sanno niente di me.. ma che si ricordano la mia lezione su Sauer, oppure il mio libro. immagino Paolo, immedesimandomi ormai in lui visto che ho ora circa la stessa età di quando Paolo cosi presto è scomparso, immagino Paolo guardarmi di sottecchi facendo forse un poco di fatica a far combaciare le due immagini: quella di me ragazzo e fratello piccolo e divertente e quello di me adulto e autonomo. Ma è la vita. Io a Paolo ho voluto molto bene, lo ricordo con affetto ed era veramente un dedicato docente e un ottimo architetto: ce ne fossero. Antonino Saggio pp. 17-20 in "Paolo Meluzzi e il dibattito internazionale Low rise - high density" a cura di Stefania Bedoni, testi di Carlo Severati, Ranieri Valli, Luigi Prestinenza Puglisi, Antonino Saggio Embrice 2030, Ermes edizioni scientifiche Roma 2017 Isbn 9788869751745
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Paolo Meluzzi. Fratello maggiore: allegro, competente, disponibile.
Con gioia aderisco all’invito di Carlo Severati a scrivere su Paolo Meluzzi cui ero legato da profonda amicizia e rispetto.
Sono grato a Carlo e alla Galleria Embrice di questa iniziativa: santa e benedetta. Luigi, con cui ho condiviso tanto “Paolo” so che ha scritto sui nostri anni universitari e non vorrei ripetermi. Paolo è stato molto importante per noi, attenuava alcune rigidità di Carlo Melograni. Ricordo che in quel 1979 il prof. Melograni non aveva ancora sdoganato Ralph Erskine per esempio. Noi provavano nella nostra tesi di laurea a fare un piccolo Byker wall - un muro ondeggiante in pianta e alzato - per contenere il tessuto basso e compatto con cui proponevamo un cuci e scuci per operare nel tessuto esistente delle Casette Pater, la borgata storica di Acilia. Il nostro Byker wall fu clamorosamente bocciato, come una casa bassa con un patio tagliato in diagonale, ma questa casa mi ostinai a disegnare lo stesso e presentare “comunque" nella tesi. Se Carlo Melograni era evidentemente il relatore della nostra tesi, Paolo, come correlatore, attenuava, reindirizzava, riapriva le questioni. Ricordo sempre quando ci disse qualcosa come “Luigi e Nino il progetto deve essere allegro!”. E Paolo era una persona sostanzialmente allegra senza mai essere né ridanciano, né battutista: ma si divertiva con noi, che eravamo evidentemente dei personaggetti bizzarri, che entravamo a volte in assurde paranoie giovanili, che avevamo ragazze belle e affascinanti, in primis Donatella, ma non solo. Fu con Stefania Bedoni sua moglie e assistente di me e Luigi all’inizio della nostra attività e di cui entrambi eravamo studenti, il nostro “testimone” virtuale quando con Donatella ci sposammo il giorno prima di partire per l’America. E tante e tante volte stavamo a studio con lui, prima a Piazzale Belle Arti, poi a Via di Ripetta e molte volte anche nella spettacolare casa, lì sulla rupe del Borghetto Flaminio disegnata da Enrico Mandolesi ma da lui e da Stefania resa semplicemente meravigliosa. Dello studio poi avevamo le chiavi, un privilegio non da poco se ci si pensa, e io lo usavo parecchio. Vi era dunque un profondo rapporto personale. Finita la tesi Paolo invitò Luigi e me a collaborare a ben tre progetti di case in cooperativa. Ci lavorammo dal gennaio del 1980 al luglio (e ci pagò pure di sua sponte). Si trattava di tre interventi per lo Iacal (Istituto autonomo cooperative laziali diretto da un suo caro amico) che dovevano essere realizzati all’interno delle normative del nuovo Piano decennale, si chiamava cosi?, che creava standard vincolanti. Le camere doppie dovevano essere di 14 mq, le singole di 9 ci doveva essere una superficie massima per numero di abitanti previsti eccetera. Se non si aderiva a questi standard, non vi poteva avere nessun finanziamento pubblico. Noi freschi di laurea sul tema residenziale - e piccoli specialisti in erba - ci buttammo a pesce nell’esperienza concreta. Se devo dire con franchezza, non credo veramente che il mio contributo sia stato un granché. Ho appreso 98 e forse, dico forse, contribuito 2.
Ciò non dimeno Paolo ci citò come collaboratori nella pubblicazione dei progetti. Tanto per dire chi era Paolo: una persona generosa dentro. I progetti dunque erano sostanzialmente tutta farina del suo sacco, li potete andare a vedere i progetti se volete. Quello a Tolfa, paese che conoscevo bene perché la mia fidanzata degli anni giovanili aveva una casa nella parte antica del paese, si sviluppava su una strada interna che aveva residenze ai due lati. La sezione del progetto era molto articolata con parcheggi da una parte e una sorta di percorso pensile che serviva le case più a monte. Lo chiamavano così, “Percorso Pensile”, perché era il titolo di un numero monografico a cura di Carlo Melograni e dell’intera squadra della sua cattedra (“Edilizia Popolare” n. 140), oltre a Paolo, Marta Calzolaretti, Andrea Vidotto, Piero Ostilio Rossi e Ranieri Valli che stavano formando in quegli anni lo studio P+R associati. Tornando ai 34 alloggi a Tolfa ricordo quando Paolo disegnò due case di testata molto belle e armoniose. Vedere Paolo lavorare era bello per noi: introiettavamo naturalmente dei metodi, dei pensieri, degli strumenti. Dico spesso nel lavoro che faccio ogni giorno che non esiste niente come la bottega, certe cose non si insegnano né si imparano… si inalano, come mi disse Zevi una volta.
Dopo queste case, Paolo disegnò, sempre con me e Luigi come piccoli assistenti, delle case in cooperativa a Cerveteri. Erano molto belle ed interessanti. Di nuovo un percorso pensile di un blocco compatto a zig zag da cui si scendeva a delle case o si saliva. Era un interessante combinazione di case servite in linea e di case servite a schiera (in questo caso a percorso pensile). Nel frattempo uscì anche il numero, “Case basse ad alta densità” (“Edilizia Popolare” n. 157) in cui - incredibile ma vero! - vi era pubblicata la tesi di Luigi e mia (meno male che avevamo tolto il muro alla Byker): un onore stratosferico per noi, di cui vissi di rendita per alcuni anni. Comunque le case di Cerveteri avevano tante cose interessanti e secondo me costituiscono forse il capolavoro di Paolo. Innanzitutto proponevano un eccezionale sfruttamento dell’area disponibile che era conformata con un particolare lotto trapezoidale. Non si sa come riuscì armoniosamente ad inserire 16 alloggi di 85 metri quadri per cinque persone ciascuno. Lo schema distributivo era brillante, intelligente, efficientissimo. Il cuore era costituito dal percorso pensile che procedeva scattando in pianta per seguire i confini dell’area di edificabilità, ma il cui andamento si rivelava bello per evitare monotonie e allineamenti da caserma. Il piano del percorso pensile copriva i parcheggi sottostanti che creavano una bella zona d’ombra che sollevava l’edificio dal suolo. Dal percorso pensile venivano serviti otto appartamenti “a piani sfalsati”. Si trattava di un’altra novità, raramente usata in italia: cioè dalla quota del percorso pensile si saliva o si scendeva di mezzo piano. La cucina-pranzo era alla stessa quota del percorso, ma con una rampa sola di scale si “scendeva” al soggiorno con giardino e con una sola rampa si “saliva” alle camere da letto. Sapientemente incastrate ogni due alloggi lungo il percorso, vi era una scala cui si saliva per accedere ad un’altra coppia di alloggi, di nuovo a piani sfalsati, sovrapposti ai precedenti e quasi identici ma che invece del giardino avevano un’ampia terrazza. Ammazza quanto era bravo Paolo! Una delle cinque persone richieste dallo standard era alloggiata nella famosa camera “jolly”, cioè uno studio di 9 metri quadri, aperto sul soggiorno ma richiudibile e assimilabile per legge a una camera singola. Un vero trucco, che risolveva venti cose contemporaneamente. I prospetti erano portati a casa da Paolo con mano sicura, accoppiando le finestre per fargli avere un ritmo compatto, inserendo begli episodi plastici con le scale al percorso pensile nelle due testate, con un uso sobrio ma efficace di blocchetti di tufo e con i marcapiani e e architravi in cemento a faccia vista. L’ultimo intervento si realizzò con 57 alloggi a Ladispoli inserite in un edifico con altezza variabile dai sei ai quattro piani (con ottimi appartamenti serviti in linea) e in un edificio a due piani con delle case a patio interessanti. Ma Cerveteri è imbattibile. Ci sono affezionato solo io? No! Fatemi vedere un sistema residenziale migliore realizzato in Italia in quegli anni e vi regalo il mio libro su Sauer.
Eh si, perché dopo questi lavori e dopo il coinvolgimento di me e Luigi in una ricerca universitaria di Carlo Melograni e Marta cui lavorammo con una passione infinita (e su cui entrambi e anche altri amici e amiche attinsero e noi vi vincemmo due concorsi), dopo la partecipazione con alcuni contributi questa volta originali ai due concorsi per una piazza a Genzano (con Donatella Orazi e Stefania Bedoni) e per Piazza dei Mulini (con l’intera squadra culturale del prof. Melograni e che aveva come capogruppo Ranieri Valli) ebbene dopo tutto queste cose stava cominciando la fase in cui io davo “indietro” un contributo a Paolo e al filone culturale su cui mi ero formato. Partii per l’America nel 1983, sostenuto da una borsa Fulbright, per lavorare, studiare e insegnare con Louis Sauer, In poco tempo (e molte nevrosi di crescita) compii un balzo prodigioso. Avevo capito nel corpo vivo del “development process" come si lavorava concretamente nel Low rise - High density a contatto giornaliero con Louis Sauer, cioè il più bravo al mondo. A voglia d’inalare!. Assorbii tutto come studente, come assistente, come giovane docente, come ricercatore, come progettista. Tornato ancora dottorando del primo anno, Paola Coppola decise di dedicare il secondo libro della collana ufficiale del nostro Dipartimento di Architettura e Progetto appena iniziata con un libro di Luigi Gazzola (Architettura e tipologia, Officina 1987) al mio lavoro su Sauer e le case basse (Louis Sauer un architetto americano, Officina 1988). Questo libro rappresentava un insieme fantasmagorico di esempi nella città costruita che faceva compiere al filone di Melograni e di Paolo, un vero e proprio salto per invenzione distributiva, per forza realizzativa, per sapienza di inserimento nella città costruita: insomma era un contributo. Paolo mi invitò tante volte a parlarne e ci sono architetti oggi cinquantenni che non sanno niente di me.. ma che si ricordano la mia lezione su Sauer, oppure il mio libro. immagino Paolo, immedesimandomi ormai in lui visto che ho ora circa la stessa età di quando Paolo cosi presto è scomparso, immagino Paolo guardarmi di sottecchi facendo forse un poco di fatica a far combaciare le due immagini: quella di me ragazzo e fratello piccolo e divertente e quello di me adulto e autonomo. Ma è la vita. Io a Paolo ho voluto molto bene, lo ricordo con affetto ed era veramente un dedicato docente e un ottimo architetto: ce ne fossero. Antonino Saggio pp. 17-20 in "Paolo Meluzzi e il dibattito internazionale Low rise - high density" a cura di Stefania Bedoni, testi di Carlo Severati, Ranieri Valli, Luigi Prestinenza Puglisi, Antonino Saggio Embrice 2030, Ermes edizioni scientifiche Roma 2017 Isbn 9788869751745
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