Giuseppe Pagano (1)
In una fase della mia vita ho fatto il critico, anche se part time e in coabitazione. Infatti scrivevo (dietro compenso) la rubrica "Critica di architettura": la rivista era "Costruire" ed ero stato invitato dal direttore Leonardo Fiori a collaborare con tre cartelle. Condividevo l’incarico con Franco Purini, Pippo Ciorra e altri che scrivevano però più di rado (2
). Non mi ero mai considerato sino ad allora un critico, ma un architetto, poi uno studioso e alla fine un docente. Ma ero diventato co-titolare di una rubrica e non potevo nascondermi e non lo posso fare neanche ora e devo affrontare la domanda su ragioni e destini della critica di architettura (3).
Dopo la morte di Bruno Zevi ero stato nominato dall’editore Testo&immagine, responsabile di una serie di libri che si chiamava “Gli Architetti”. Ne curai una trentina: volevo libri attenti ai ferri del mestiere degli architetti. (4) Ad una scrittura letteraria centrata sul giudizio estetico, volevo sostituire una scrittura precisa, analitica, attenta ad una “sceneggiatura delle scelte concrete”. Era questa una espressione di Benevolo che Francesco Tentori aveva inserita nella prefazione al mio libro
Giuseppe Terragni Vita e opere (5)
definendolo “uno dei migliori testi sull’architettura contemporanea italiana”, immagino anche per questa caratteristica.
Per scrivere i miei contributi nella rubrica di Critica di architettura di “Costruire” creai così una struttura particolare. Usavo ogni volta una parola chiave (per esempio "in-between" o "spazio-sistema" o "affioramenti" o "cheapscape") per illustrare perché l’opera di Tschumi o di Domenig, di Hadid o Gehry oggetto della rubrica fosse pregnante di un modo di fare conoscibile e trasmissibile e allo stesso tempo perché quella parola chiave condensasse una visione del mondo culturale, estetica se non politica che si incarnava in una architettura ed in un fare specifico.
Era un approccio, come dicevamo, molto
sui generis almeno per come era normalmente intesa la critica di architettura.
Negli stessi anni feci un intervento a Reggio Calabria per ricordare Zevi poco dopo la scomparsa con il titolo “La storia è critica e la critica storia". Zevi aveva pubblicato per quaranta anni e più una pagina su “L'Espresso” che incarnava quello che era comunemente intesa quale “critica di architettura”. Zevi favoriva una decisa tendenza e contemporaneamente si schierava "contro". Apparteneva a quella generazione dell' “anti”, formatasi nell’immediato dopoguerra che si riconosceva “contro” il fascismo, la barbarie, l'olocausto. Per Zevi, se l'architettura aveva un sentore accademico, simmetrico, classicheggiante, si doveva sempre attaccare perché le “scelte del linguaggio” e quelle etico-politiche erano per lui collegate.
In questo contesto la critica era un anello di congiunzione con l'idea di centralismo democratico e ne diventava una sorta di braccio operativo. Esisteva un vertice che dettava la linea (nel fronte funzionalista la figura di Le Corbusier e la struttura dei Ciam, in quello organico la figura di Wright e la scuola di Taliesin) e una serie di quadri di vertice diffondevano gli aspetti fondanti della linea culturale e operativa. Il compito era dato ai critici militanti, (che a volte erano anche dei grandi narratori di vicende del passato da Nikolaus Pevsner a Sigfried Giedion a Leonardo Benevolo allo stesso Zevi). “Storia” in questo contesto era (questo il titolo della conferenza appunto) era l'altra faccia della critica.
Manfredo Tafuri userebbe parole più piene, ma non è un caso che al suo scrivere sul crollo delle ideologie corrisponda il suo rifiuto tassativo di definirsi un critico e il calarsi in un amore per la storia che (almeno nelle premesse) voleva essere tecnico filologico per una ricerca "della" cosa in sé.
Oggi Il centralismo democratico è scomparso, od ha cambiato solo forma? Credo che a questa domanda ciascuno possa rispondere da sé. Voglio credere che sia scomparso e con esso la necessità di una linea della critica, di una critica come diffusione di un sistema di valori e di ideologie precostituite cui aderire o meno. Rimane in architettura oggi in Italia una critica di questo tipo che secondo me è marginale e un poco superficiale. Quella che, riprendendo alcuni aspetti della critica d'arte, scrive ora di questo ora di quello in una ottica di servizio informativo, quando va bene, ma spesso non riuscendo a soffocare l'odore del retro bottega.
***
Credo e pratico in definitiva da una parte una “scrittura di architettura” e dall’altra una “critica del progetto”, che sono due cose diverse. La critica del progetto ha una finalità concreta, per far vedere una strada che noi pensiamo migliore, più ricca, più fertile, più densa di significati. Nella critica del progetto di architettura entriamo in campo noi stessi per quello che siamo e per quello che non siamo riusciti ad essere e vorremmo essere. Si esplica in primis con gli studenti e a volte con i colleghi più giovani quando ce la chiedono. In ambito internazionale si esplica nelle Jury che non a caso sono considerate il momento più alto della riflessione sull'architettura. Ne ho fatte con Zaha Hadid, con Ben Van Berkel con Peter Eisenman. La jury è un momento alto di confronto delle idee. Questo tipo di critica sul progetto e nel progetto, ormai avviene nel mio caso raramente su carta stampata. L’ho fatta in una decina di numeri del supplemento “On&Off” (7) che curavo con il gruppo “Nitro” dentro “L’architetto Italiano”. Terminata quella esperienza la pratico, credere o no, sul mio Blog e sul mio Facebook. Poi credo, come dicevo, nella scrittura di architettura. Smontate le ideologie, senza una linea o una teoria da diffondere, rimangono però le crisi davanti a noi e l'idea, per me centrale, che queste crisi le dobbiamo cercare di affrontare e forse raccontare attraverso la storia di quest’ultimo secolo con l'occhio alle crisi che gli architetti hanno cercato di affrontare con lo sguardo dritto al futuro piuttosto che piegato al passato. (8)
Le responsabilità nel mondo di oggi devono essere sempre più legate ai singoli e non ai sistemi di opinione e ai credi ideologici. E in questa responsabilità dell'individuo ci deve essere, io credo, anche il bisogno di cercare sempre la critica. Cercarla negli altri verso di noi e offrirla come un bene agli altri. Vogliamo instillare l'idea, insomma che più che una critica esista una funzione critica che ciascuno può e deve imparare a coltivare.
antonino saggio
Note
1 Le note sono per comodità del lettore. Esistono link e anche digressioni. Ricordo che molti anni fa tenni una relazione a Porto ad un convegno che si chiamava "Situazione critica". Ecco il link all'audio
http://www.arc1.uniroma1.it/saggio/conferenze/storia/aporto.html il testo è solo in portoghese:
Escavaçoes no Futuro Relaçao com a Historia em Algunos aspectos da Cultutura arquitectonica Italiana do Século XX, Jornal Arquitectos. n. 211, Maggio Giugno 2003 (pp. 48-54).
2 Ecco gli articoli della rubrica
Critica dell’architettura. Oltre i Confini. Informatica e progettazione
Costruire, n. 235, Dicembre 2002 (p. 62).
Critica dell’architettura. Due Opere Americane, Architetture antizoning
Costruire, n. 227, Aprile 2002 (p. 86).
Critica dell’architettura. progetto e informatica. Virtuale ma Concreto
Costruire, n. 219, Settembre 2001 (p. 102).
Critica dell’architettura. Task force per L'architettura
Costruire, n. 215, Aprile 2001 (p. 32).
Critica dell’architettura. NO LIMITS AL PROGETTO
Costruire, n. 210, Novembre 2000 (p. 30).
Critica dell’architettura. Palinsesto Urbano
Costruire, n. 202, Marzo 2000 (p. 36).
Un intellettuale contro. Ricordo di Bruno Zevi
Costruire, n. 201, Febbraio 2000 (p. 21).
Frontiere. Il coraggio di Aprirsi
Costruire, n. 200, Gennaio 2000 (p. 95-98).
Critica dell’architettura. I contenuti dello Slogan
Costruire, n. 198, Novembre 1999 (p. 32-33).
Critica dell’architettura. La Spazio Come Sistema
Costruire, n. 190, Marzo 1999 (p. 28)
Alcuni di questi pezzi sono oggi in rete rieditati da "Arch.it"
http://architettura.it/coffeebreak/20001214/
3 Lo scritto è stato richiesto da Franco Purini, quale documento preparatorio da accludere con altri a due giornate sulla Critica di Architettura da tenersi a Roma presso l'accademia di San luca e a Milano. A Roma dovevo coordinare la sessione pomeridiana del Simposio (quella poi tenuta da Achille Bonito Oliva
Vedi). Purtroppo la data fissata del 14 maggio 2014 coincideva con delle conferenze fissate da tempo in Iran. Ho dovuto mio malgrado rinunciare, non credo che questo testo appaia ora da nessuna parte. Eccolo allora in formato elettronico. Come promemoria personale aggiungerei che la lettura successiva alla redazione di questo testo di
Un'ora di lezione cambia la vita di Massimo Recalcati mi suggerisce una interpretazione della critica dentro il "vuoto" che deve creare la trasmissione del sapere. Il campo specifico della critica lo possiamo immaginare delimitato da una parte, a sinistra, verso il l'insegnamento, una parte centrale che ha come stella polare il pubblico e una, a destra, verso il mercato e gli affari. Muoversi in questo campo dipende da ciascuno, ma è una impostazione che permette di collocare rapidamente alcuni critici attuali. Dove sta Luigi PP... facile.. Dove sta Ciorra facile, dove sta Molinari facilissimo, dove sta Purini o Saggio facile. Dove stava Zevi facile... Dove stava Tafuri (facilissimo, ma attenzione la domanda è un trabocchetto... ).
4
http://www.arc1.uniroma1.it/saggio/Architetti/
5
http://www.arc1.uniroma1.it/saggio/laterza.htm
6
http://www.arc1.uniroma1.it/saggio/filmati/reggiozevi/reg.html
7 Originale On&Off on line e a cartaceo da qui, nuova edizione esclusivamente on line
da qui
8
Architettura e Modernità Dal Bauhaus a la Rivoluzione informatica, Carocci 2010
http://saggioarchitettura.blogspot.it e gli articoli su L'Architetto
"Tre chiavi per il futuro" Febbraio 2014
"Nuova generazione Infrastrutture" Aprile 2014
"Infrastrutture Multitasking" Giugno 2014
"Infrastrutture e verde il grande innesto", Settembre 2014
"Amico Tram, per la Mobilità Urbana". Novembre 2014