di Antonino Saggio
Finalmente il memorabile progetto della metropolitana di Napoli è giunto a Scampia. Per la verità non so bene che aggettivo usare per la metropolitana di Napoli. Lasciamo stare il memorabile e usiamo semplicemente, se pensiamo ai fruitori, fortunato. In particolare per chi non conosce la metropolitana, vi assicuro, vale assolutamente un viaggio perché avrà l’occasione di visitare una straordinaria collezione di arte e di spazi pubblici. Una collezione che si snoda in grandi invasi che conducono ai treni e fanno tutto il loro dovere distributivo e funzionale, ma assommano su di sé molti altri significati.
Il primo di tutti è che fanno cittadinanza. Vuol dire che la città e i suoi abitanti si riconoscono nella bellezza della metropolitana, ne sono fieri e la difendono. Le sedici Stazioni dell’arte sviluppano sempre un pensiero contemporaneo sulla bellezza anche quando, come è giusto che sia, diventa forte e dissacrante, quasi violento, o quando reinterpreta Napoli stessa, nei suoi colori, nei suoi anfratti, nei suoi stessi sotterranei.
Come sapete la metropolitana di Napoli è un esempio di progetto urbano riuscito. Della sua nascita, come di quella di Roma, esistono tre o quattro versioni. Una bella è che sia nata dalla tesi di laurea del cantautore Edoardo Bennato (vedi) che mostrava come connettere le linee Flegrea, Cirunvesoviana, Alisana con la vecchia metropolitana in un disegno unitario.
Di certo il progetto fu concretizzato nei due mandati dal 1993 al 2000 di Antonio Bassolino, implementata da Ennio Cascetta professore di trasporti e dalle figure di Benedetto Gravagnuolo e Alessandro Mendini per l’architettura e soprattutto di Achille Bonito Oliva per l’arte. Alla base di questa opera memorabile quindi la sinergia di alcuni protagonisti con le idee chiare che generano attorno a sé un mulinello di forze, di volontà, di capacità.
Ultimamente sono stati superati anni di stasi grazie all’azione decisa di Vincenzo De Luca attraverso fondi UE gestiti dalla regione, di Umberto de Gregorio presidente Eav (Ente autonomo volturno) e grazie al Coordinamento artistico di Maria Pia Incutti, Fondazione Plart si è finalmente riaperta la vicenda della metropolitana di Napoli anche negli anni di Luigi de Magistris.
Appena consentito dal Covid, nel maggio del 2020, è stata inaugurata appunto l’ultima stazione della serie a Scampia (ma un’altra è in costruzione, quella di Benedetta Tagliabue al Centro direzionale). Dicevamo la stazione di Scampia, quartiere simbolo del degrado della periferia napoletana attraverso anche le serie televisive.
Situazione di fatto
Questa stazione era un vero e proprio cantiere a cielo aperto, in cui coabitavano la vecchia stazione e le strutture di una seconda stazione che avrebbe dovuto ristrutturare la prima ma mai finita. In questa babele angosciosa e pericolosa, gli abitanti fruivano del servizio tra macerie e motorini parcheggiati. È a questo punto che inizia il progetto dell’architetto Cherubino Gambardella che firma nel 2018 il restyling con la partner dello studio gambardellaarchitetti Simona Ottieri.
Conosco Gambardella da trent'anni e sono innanzitutto lieto che un architetto napoletano possa lasciare un segno nella propria città. Ma questo aspetto è secondario, quello che conta è la forza dell’opera. Gambardella ha sempre studiato, anzi amato, la sovrapposizione spesso caotica di finito e non finito, di natura e architettura che è un dato caratterizzante l’edilizia e l’architettura di Napoli. È una sorta di “ripugnante ibridismo” come lo definì Benedetto Croce per il suo farsi per strati in un inseguirsi di spazi, volumi, frammenti, nel non accettare il “finito”, il lindo, il classico per inseguire una sorta di perenne mutevolezza. Gambardella vi ha dedicato libri e articoli e soprattutto nei suoi molti progetti cerca la presenza delle tracce del passato per risvelarle in maniera inaspettata.
Disegni di Gambardella in cui si rappresentano concettualmente gli elementi chiave del progetto
Cherubino Gambardella, tecnica mista roller su carta stampata 2018, sintesi del progetto dalla facciata all’interno e collisione di forme.
Non ama quindi le tele bianche e finite, ma un “terreno-palinsesto”, un collage di tracce a cui aggiungere le proprie. Dunque la difficilissima situazione di Scampia è per lui quasi ideale. Naturalmente usa la tecnica della sovrapposizione. Così un grande muro si sovrappone all’eterogeneità dell’esistente per definire il fronte principale di entrata della stazione da nord e dare un nuovo volto alla città. È un volto vibrante e mutevole, composto da aste metalliche irregolari. Di giorno scintillano alla luce naturale, di notte rimbalzano la luce smaterializzando il volume. Dal grande muro emerge lo sbalzo di una pensilina semicircolare che conduce al grande invaso della stazione vera e propria. Qui si sente forte, come in tutte le nuove stazioni di Napoli, la presenza dall’arte con l’installazione di Gian Maria Tosatti “Lo scambiapassi,” con “Tracce di rissa” di Enzo Palumbo e le fotografie di Luciano Romano dedicate ai nuovi musicisti napoletani che attraverso composizione sonora da Desiree Klein pervadono lo spazio anche con le loro musiche.
Sopra alle opere e alle fotografie, quasi a sottolinearne la presenza, corre in alto un grande bandone luccicante e dorato le cui strutture verticali fanno da portico alle opere, ma quello che caratterizza architettonicamente l’invaso è la grande scalea appoggiata al muro verso settentrione e che conduce al piano dei binari superiore. La scalea è accompagnata da irregolari alberi-pilastri che sorreggono un nastro-pensilina che segna come un vettore lo spazio, accompagna il visitatore e poi, ruotando su se stesso, esce a segnare la facciata sud che dà alla quota superiore dal piano binari.
Così, ripercorrendo il nastro all’indietro e osservando la scena dall’alto e il brulicare di persone ed eventi nella stazione si sentirà come gli architetti facciano tesoro della teatralità con cui si danno gli spazi pubblici a Napoli. Scendendo la scalea, ci verranno forse in mente le Pedamentine di Napoli, le strade che connettono le quote diverse della città e che aprano improvvise viste agli spazi e al paesaggio e la notte fanno sperare di catturare un raggio di luce dorata.
Antonino Saggio
Committenti: Plart, Ente Autonomo Volturno, Regione Campania, Aet Srl
Architettura: gambardellarchitetti: Cherubino Gambardella e Simona Ottieri
Con Alessandro Marotti Sciarra, Alessandra Acampora, Antonio Capolongo, Francesca Filosa.
Coordinamento artistico generale: Maria Pia Incutti
Artisti: Luciano Romano, Gian Maria Tosatti, Enzo Palumbo
Istallazione sonora a cura di Desiree Klein
Esecuzione: Consorzio D’Imprese Ascosa
Rup: Fiorentino Borrello
Tempi: Progetto 2018, Esecuzione 2019-2020
Fotografie di Luciano Romano e Cherubino Gambardella
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