Monday, November 01, 2021

La scomparsa di Carlo Melograni

La scomparsa di Carlo Melograni
11 gennaio 1924 - 1 Novembre 2021


Nella foto Carlo Melograni al centro in basso tra i volontari dei Gruppo di Comattimento arruolatosi nell'esercito italiano dopo il settembre 1943 per combattere il nazi-fascismo (in Storia fotografica del partito comunista)

Con l'architetto Carlo Melograni scompare uno degli ultimi rappresentanti della generazione dell’”Anti": donne e uomini che si sono formati negli anni del regime fascista a cui seppero opporsi con valori e azioni antagoniste. Se in Bruno Zevi l'essere antifascista aveva il carattere di una adesione al credo libertario del partito d'Azione di Ferruccio Parri, in Carlo Melograni l'essere comunista era la caratteristica prima. Melograni si è mosso sempre per il sostegno alle classi più bisognose in una disciplina da centralismo democratico che naturalmente negli anni sostituì il credo della rivoluzione con un pensiero riformista. Non a caso è stato fraterno amico proprio del presidente Giorgio Napolitano, che certamente oggi lo piange. 

Nell'immediato dopoguerra, appena laureato, fece parte della squadra dei giovani dell'Ina casa (Aymonino, Valori, Fiorentino e altri) firmando l'importante quartiere del Tiburtino a Roma con capogruppo Ludovico Quaroni. Alla metà degli anni Cinquanta scrisse un lucido ed equilibratissimo saggio per “il Balcone” dedicato alla figura di Giuseppe Pagano. Il direttore di “Casabella” martire a Mauthausen è una personalità in cui Melograni si rispecchia per l'orgogliosa modestia e per la ricerca di una architettura primariamente attenta alla funzionalitá al servizio di tutti. Guarda con estremo interesse alle esperienza del Team X e vede in Giancarlo de Carlo un punto di riferimento.

Dal 1961 al 1971 si afferma un altro dei suoi credi: il teamwork. Con Tommaso Giuralongo e Leonardo Benevolo forma uno studio che realizzerà soprattutto in Emilia Romagna opere interessanti tra cui la particolarmente riuscita Fiera di Bologna. È contemporaneamente attivo anche come politico a Roma con ruoli di primo piano tra cui quello di consigliere per il PCI.

Nel quadro del rinnovamento della Facoltà di architettura di Roma, dopo l'arrivo di Quaroni e Zevi, è - dopo Palermo - incaricato dell’insegnamento prima di Disegno e rilievo e poi di Composizione architettonica. Nel caotico e sfilacciato clima della facoltà degli anni Settanta, Melograni è tra i pochi docenti di Composizione che tenga lezioni di architettura sottolineando le responsabilità sociali del progetto, rifuggendo da formalismi di ogni tipo, cercando l'adesione "scarna" al tema come indicava Pagano. Alla fine degli anni Settanta tra i suoi primi laureati sono Luigi Prestinenza e Antonino Saggio. Coordina due numeri di "Edilizia Popolare" in cui spinge per l'adozione di modelli distributivi innovativi anche nel nostro paese e nel fascicolo sulle “Case basse ad alta densità” pubblica il progetto dei due giovani di cui è relatore con Paolo Meluzzi. Sempre nei primi anni Ottanta fonda un nuovo gruppo di progettazione il P+R (Progetto e Ricerche di architettura - vedi articolo) che opererà con continuità per circa quindici anni.

Nei primi anni Novanta del secolo scorso, Carlo Melograni è il capofila nella creazione della Facoltà di Architettura di Roma Tre di cui è preside sino alla sua pensione nel 1997. Negli anni successivi continua l’attività progettuale con una nuova generazione di architetti e si impegna nella scrittura in particolare di tre volumi: “Progettare per chi va in tram” (2002) che rappresenta una risistemazione delle lezioni seguite e conosciute da molte generazioni di studenti e i due volumi che ripercorrono l’architettura italiana prima sotto il fascismo (2008) e poi negli anni della ricostruzione (2015). La sua prosa limpida e chiara sono un vero specchio della sua personalità e del suo modo di essere.




Ricca, lunga, piene di episodi positivi è stata la relazione di chi scrive con il prof. Carlo Melograni. Ma da evitare però è il ricorso all'autobiografismo perché questo è il momento del dolore che da ex alunno è certamente condiviso con i tanti suoi studenti, collaboratori e colleghi con i figli Anna e Luca e con la moglie e compagna Luisa Pappalardo. Rara personalità per impegno didattico, statura intellettuale e impegno politico attraverso l’architettura e l’urbanistica è stata la figura di Carlo Melograni. Che ci guardi sempre con quel suo bellissimo sorriso anche se abbiamo voluto fare da soli.
Antonino Saggio "Sapienza" Università di Roma
Esequie Chiesa Valdese a piazza Cavour, Roma, via Marianna Dionigi 59 ore 11 mercoledì 3 novembre 2021





Francobollo emesso nel marzo del 2024 per celebrare i cento anni dalla nascita,







Tuesday, October 12, 2021

Albergo distrutto - albergo ritrovato dell'architetto Giorgio Romoli






Tutti sanno che la sede del design in Italia è Milano. E non credo che bisogna ricordare i nomi di una tradizione che parte con la figura di Gio Ponti e del più giovane,  e decisamente più razionalista,  Franco Albini negli anni del Trenta del Novecento e continua vigorosa per tutto il dopoguerra, con il suo apice negli anni Sessanta e Settanta con figure quali Ettore Sottsass, Tobia Scarpa, Achille e Piergiacomo Castiglioni, Joe Colombo.





Ecco perché l’espressione di uno dei grandi maestri e critici dell’architettura italiana che vi sto per riportare appare di particolare interesse. Bruno Zevi girava sempre con un piccolo numero di dardi nella sua tasca destra. D’improvviso ne tirava fuori uno e lo usava per colpire l’avversario di turno. Vuoi un bolso architetto accademico, uno studente tronfio ma ignorante, un collega burocratico. Ma questi dardi servivano anche per fare dei centri memorabili. per cogliere la sostanza delle questioni. (Spero che non mi prendiate alla lettera, in ogni caso se ve ne prendevate uno di questi dardi anche se virtuali vi assicuro che ve lo ricordavate). Quindi In visita all’opera di cui vi vogliamo parlare oggi Zevi disse la grande frase:

"Ma allora il design esiste anche a Roma!”


L’opera che suscitò l’entusiasmo di Bruno Zevi era la ristrutturazione di un albergo centralissimo nei pressi di Piazza Fontana di Trevi, l’Hotel delle nazioni. Un albergo bellissimo come potete vedere e di cui vi presentiamo oggi le foto per tante ragioni. Innanzitutto per dare linfa ai nuovi designer di oggi perché da questa opera c’è molto da imparare. E poi perché una rivista serve a ricordare e forse un poco a vendicare. Infatti questo opera è stata brutalmente distrutta. Il suo architetto si chiama Giorgio Romoli. E’ stato per trent’anni e più professore alla facoltà di architettura a Sapienza e negli anni Novanta docente della nostra scuola a Maputo in Mozambico. Il suo amore per i luoghi lontani lo ha portato oggi nel lontano Perù (eh si, la terra di origine di Paul Gauguin) dove è ben attivo come progettista critico e docente. E se vi va scrivetegli: giorgioromoli@yahoo.it. E da quel lontano paese che mi manda una email, di questo sua opera distrutta. Ho  pensato che ExiBart fosse la rivista migliore per farla (ri)conoscere. “Ho rivisto quelle foto con una certa nostalgia - mi ha scritto - e contemporaneamente ho pensato al fatto che, tranne le poche persone che l’hanno frequentato, di cui molte straniere, i giovani non ne sapranno mai niente.”

Si tratta di una ristrutturazione di un albergo già esistente per farlo passare di categoria e quindi rinnovarlo completamente.



  

click sull'immagine per ingrandirla

 



Sempre cruciale in un albergo è il piano terra che deve essere ampio, accogliente, elegante,  il più aperto possibile. Ma allo stesso tempo nel piano terra confluiscono i discendenti dei bagni. E’ un conflitto che ogni progettista deve affrontare. Di norma i discendenti vengono deviati nel contro soffitto con la cura nel mantenere la necessaria inclinazione oppure accostati ai pilastri. L’Hotel era stato costruito a fine ottocento - si chiama allora Hotel Oriente - aveva pilastri in muratura molto spessi.  Romoli risolve il dato funzionale con un controsoffitto in legno organizzato su una maglia ‘scozzese’. Si tratta di un particolare ritmo proporzionale (progettisti di oggi, ricordatevene). Stabilite le prime due misure, la terza è la somma delle due precedenti, la quarta la somma della seconda e della terza e così via. Stabilite quindi le X e le Y degli elementi scatolari, si procede a dare le misure delle altezze, le Z, valutando le situazioni spaziali: piccole misure al centro degli ambienti, più lunghe mano a mano che ci avvicina ai pilastri, “lunghe quasi fino a terra, come fossero stalattiti e fino a terra per ricoprire pilastri e i vari discendenti.”. Questa magia di proporzioni determina la particolare armonia degli ambienti e allo stesso risolve il dato funzionale.


 




La trama scozzese permette inoltre di avvitare a a soffitto anche gli elementi dell’illuminazione e ulteriori elementi in legno che fanno vibrare lo spazio. Il tutto è basato su due colori, rosso e nero, mentre il pavimento di moquette, con vari sfalsamenti di un gradino, è alternativamente con i colori beige e marrone. 

Il tutto è particolarmente riuscito ed armonioso e fa pensare naturalmente tanto al grande architetto scozzese Charles Rennie Macintosh quanto a Frank Llyod Wright. Ma senza mai una citazione diretta, ma solo un profumo, un profumo delicato di malto.

(Antonino Saggio)



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Hotel destruìdo – Hotel redescubierto del Arquitecto 

Giorgio Romoli.



Todo el mundo sabe que la sede del diseño en Italia es Milán. Y no creo que sea necesario recordar los nombres de una tradición que comienza con la figura de Gio Ponti y el más joven, y decididamente más racionalista, Franco Albini en los años treinta del siglo XX y continúa con vigor durante toda la posguerra, con su cúspide en los años sesenta y setenta con figuras como Ettore Sottsass, Tobia Scarpa, Achille y Piergiacomo Castiglioni, Joe Colombo.



Esta es la razòn por la cual la expresión de uno de los grandes maestros y críticos de la arquitectura italiana que estoy por informarles, resulta de especial interés.

Bruno Zevi, siempre andaba con una pequeña cantidad de dardos en el bolsillo derecho. Al improviso sacaba uno y lo usaba para golpear al adversario de turno, sea un flojo arquitecto académico, un estudiante pomposo pero ignorante o un colega burocrático. Pero estos dardos también servìan para hacer centros memorables, para captar la esencia de los problemas. (Espero que no tomen lo que digo al pie de la letra, en cualquier caso si ustedes hubiesen sido golpeados por uno de estos dardos, aunque virtuales, les aseguro que lo recordarìan). Entonces una vez que visitò la obra de la que queremos hablar hoy, Zevi dijo la gran frase:


"¡Pero el diseño existe tambièn en Roma!”     


La obra que despertó el entusiasmo de Bruno Zevi fue la renovación de un hotel muy céntrico, cerca a la Plaza Fontana de Trevi, el Hotel delle Nazioni. Un hotel precioso como pueden ver y del que hoy les presentamos las fotos por muchas razones. En primer lugar, para dar vida a los nuevos diseñadores de hoy, porque hay mucho que aprender de esta obra. Y luego, porque una revista sirve para recordar y quizás un poco para vengarse. De hecho, esta obra fue brutalmente destruìda. Su arquitecto se llama Giorgio Romoli. Fue durante treinta años o más profesor en la Facultad de Arquitectura de la Sapienza y en los noventa, Docente de nuestra Facultad de Maputo en Mozambique. Y su amor por los lugares lejanos lo ha llevado al Perú (sí, la tierra de origen de Paul Gauguin) donde es muy activo como proyectista, crítico y docente. 

Si les va, escríbanle a: giorgioromoli@yahoo.it.  Es desde ese país lejano que me envía un correo electrónico, sobre esta obra suya destrozada. Pensé que ExiBart era la mejor revista para darlo a (re) conocer. “Revisé esas fotos con cierta nostalgia -me escribió- y al mismo tiempo pensé en el hecho de que, salvo las personas que lo frecuentaban, muchas de las cuales eran extranjeras, los jóvenes no sabrán nada al respecto. "



Se trata de una remodelación de un hotel existente para actualizarlo a una nueva categoría y luego renovarlo por completo.



Siempre es crucial en un hotel, la planta baja, que debe ser amplia, acogedora, elegante y lo más abierta posible. Pero al mismo tiempo confluyen en la planta baja las tuberìas de los baños. Es un conflicto que todo diseñador debe afrontar. Normalmente las tuberìas vienen desviadas dentro el falso techo, cuidando en mantener la inclinación necesaria y la cercanìa a las columnas. El hotel fue construido a finales del siglo XIX -se llamaba Hotel Oriente- tenía columnas de muros muy gruesos. Romoli resuelve el dato funcional con un falso techo de madera organizado sobre una malla 'escocesa'. Se trata de un ritmo proporcional particular (diseñadores de hoy, tòmenlo en cuenta!). Una vez establecidas las dos primeras medidas, la tercera es la suma de las dos anteriores, la cuarta la suma de la segunda y la tercera y así sucesivamente. 

Una vez establecidas las X e Y de los elementos en forma de caja, procedemos a dar las medidas de las alturas, la Z, evaluando las situaciones espaciales: pequeñas medidas en el centro de las habitaciones, más largas a medida que nos acercamos a las columnas, “largos casi hasta el suelo, como si fueran estalactitas, para cubrir los pilares y las diversas tuberìas". Esta magia de proporciones, determina la particular armonía de los ambientes y al mismo tiempo resuelve los datos funcionales.


La textura escocesa también permite atornillar al techo los elementos de iluminación y los otros elementos de madera que hacen vibrar el espacio. El conjunto se basa en dos colores, rojo y negro, mientras que el suelo de moqueta, con varios desplazamientos de un escalón va alternativamente con los colores beige y marrón.


El conjunto es particularmente exitoso asì como armonioso y naturalmente hace pensar tanto al grande arquitecto escocés Charles Rennie Macintosh cuanto a  Frank Lloyd Wright. Pero sin citar directamente, sino solo un perfume, un delicado aroma a malta.


(Antonino Saggio)




Hotel delle Nazioni a Roma, architetto Giorgio Romoli 1974. Oggi distrutto. 
L'articolo di Saggio è stato pubblicato su "ExiBart on paper" n.113
Un testo dell'architetto Romoli con foto  sono pubblicate su "Amate l'architettura" 




Saturday, July 17, 2021

Pisa Conference sulla Rivoluzione Informatica in Architettura

Ascolta 200 Minuti

Vedi Immagini

Conferenza all'Università di Pisa del 14 dicembre 2011

Friday, July 16, 2021

1919-2019 From Bauhaus to a New Paradigm in Architecture

 Listen 100 m

Key Note alla Università Polis, Tirana 19 settembre 2019

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Bruno Zevi un architetto rivoluzionario

 Ascolta 1:31


Conferenza all'Ordine degli architetti di Ravenna 29 novembre 2018. 

Vedi immagini

Le case unifamiliari di Giuseppe Terragni: il motivo del telaio

 Ascolta 1,31

Lezione del 14 aprile 2021 Corso prof.ssa Domizia Mandolesi

Degli Imprintinglontani e vicini

 Ascolta 1,30


Lezione al Corso di Gianluca Peluffo alla Università Kore di Enna 12 maggio 2021

vedi immagin

Lectio magistralis su Caravaggio

 Ascolta l'audio 130 minuti


tenuta al museo Macro di Roma il 14 giugno 2019

Caravaggio compie una rivoluzione. Al tempo immobile dell’Umanesimo rinascimentale sostituisce la presa di coscienza drammatica dell’attimo come campo delle scelte individuali; al disegno accademico, la pittura e il colore in presa diretta; alla profondità inquadrata dal telaio, un proscenio in cui personaggi veri danno spessore alla vita; alla luce omogenea, la forza abbacinante di un flash; alla staticità della posa, l’essere (dei personaggi, degli oggetti, degli spazi, della vita stessa) sempre in bilico. Gli scritti di Antonino Saggio, in diverse lingue ed edizioni, l'ultimo "Caravaggio La rottura del telaio" (ListLab 2018) propongono ipotesi nuove su fatti sin’ora trascurati, ma soprattutto sono tesi a far comprendere come la presenza dei nuovi strumenti ottici non sia ricetta meccanica o prodigio tecnico, ma si inserisca nella necessità estetica di una nuova visione. Caravaggio, Galileo e Borromini vengono a costituire, all'interno di questa lettura, una triade indispensabile per comprendere la nascita di una visione laica, per la prima volta "dal basso verso l'alto".

Thursday, July 15, 2021

Le mie idee

 Comunicazione 34 minuti

Diap, Dipartimento architettura e progetto Sapienza Università di Roma. 15 febbraio 2018


Saturday, April 24, 2021

Officina Saggio di Paolo Allegrezza

Chi da anni frequenta il lavoro di Antonino Saggio sa che un termine che ben si presta a definirne il senso, è officina. Ciò vale sia in riferimento alle varie attività di ricerca collettiva promosse dalla sua cattedra di Progettazione architettonica a “La Sapienza” (il gruppo Nitro, le proposte di Urban voids e Tevere Cavo, le collane editoriali), sia in quella estiva del Sicily Lab dai cui workshop sono nate proposte e installazioni artistiche. L’attività centrale è quella di teorico dell’architettura (i libri su Pagano, Terragni, Sauer, fino ad Architettura e modernità, dedicato alla rivoluzione informatica) cui si aggiunge, a mo’ di divertissement, il lavoro critico su due artisti che da sempre lo appassionano: Caravaggio e Van Gogh. Su quest’ultimo da segnalare, oltre al volume “Van Gogh segreto”, anche la conferenza tenuta lo scorso anno al Macro. 

Di recente, l’officina S. ha realizzato due libri sul fumetto che si rivelano due vere e proprie chicche per appassionati (e non solo). 

Nel primo caso, si tratta di un’operazione di recupero della produzione di un disegnatore, Gian Carlo Guarda (Venezia, 1930), che nel 1950 si era brillantemente misurato con la versione a fumetti di “Zanna Bianca”. Lavoro, tuttavia, portato a termine solo molti anni dopo, allorché Guarda, essendosi nel frattempo dedicato all’attività di architetto negli Usa e ormai in pensione, si dedicò al completamento delle dodici tavole mancanti. Il lavoro completo, già pubblicato nel 2005, è ora riproposto in una nuova edizione curata da S. che, nipote di Guarda, ha potuto ricostruire una vicenda che illumina anche un pezzo di storia italiana. 


Zanna Bianca di Gian Carlo Guarda Copertina interna e una Tavola

Guarda, giovane e talentuoso disegnatore, nel ’50 giunge a Roma per proporre le sue tavole al “Vittorioso”, il periodico a fumetti (1937 – 1967) promosso dall’Azione Cattolica. All’iniziale apprezzamento per il suo lavoro, vide opporsi il rifiuto alla pubblicazione essendo London autore messo all’indice dalla Chiesa. La delusione spinse l’autore ad abbandonare la carriera di disegnatore e a completare gli studi in architettura. La pubblicazione consente di apprezzare il talento di Guarda - notevoli, in particolare, i volti e le scene notturne - e di godere delle emozioni del fumetto d’antan che ricorda il primo Tex di Galeppini (il cui esordio data proprio al 1948, anche se non risultano contatti tra i due).

Una pagina del libro "Sopra i tetti di Venezia" e sopra una immagine del palazzo Muti-Baglioni 


Il secondo lavoro riguarda ancora, seppure indirettamente, Gian Carlo Guarda. Siamo a Venezia ove tra la fine della guerra e i primi anni ’50 opera un gruppo di giovani talenti tra cui Hugo Pratt, il futuro creatore di Corto Maltese. S., utilizzando le fonti fotografiche e le lettere di Guarda, ricostruisce il clima di amicizia creativa che ha per sfondo un luogo insolito quanto evocativo: i tetti di Venezia. Qui Pratt e gli altri amavano intrattenersi e qui si dipana una vicenda che attiene alla genealogia di Corto Maltese e che lasciamo al lettore scoprire. Oltre alla ricostruzione filologica che il libro contiene, l’elemento di interesse riguarda la relazione e lo scambio creativo che si intuisce animavano il gruppo di giovani creativi amici di Pratt. 

A smentita del luogo comune sulla solitudine del genio, è dalla contaminazione che nacquero sia il lavoro di Guarda, si pensi al tema della libertà caro a London ed evocato dai tetti di Venezia, sia il futuro capolavoro di Pratt. Anch’esso un inno al viaggio. Ancora una volta, il tema dell’officina. 

Paolo Allegrezza è studioso e autore di storia politica e critico di letteratura. Scrive regolarmente su "Mondo Operaio". Insegna italiano e storia nella capitale. 


Gian Carlo Guarda, Zanna Bianca, Ed. Amazon, (Torino), 2020, 92 pp. in B/N, f.to 22x28, brossura

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Antonino Saggio, Sopra i tetti di Venezia alla ricerca di Corto Maltese, Ed Amazon, Torino) 1920 48 pp. in B/N f.to 15x21 Brossua

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Tuesday, April 20, 2021

PARAPRATTIANO, PROPENSIONE LONDONIANA di Gianni Brunoro




Ritratto di Gian Carlo Guarda e a destra Foto di gruppo: Giorgio Bellavitis, Hugo Pratt e Gian Carlo Guarda  da Sopra i tetti di Venezia fotografia di Leone Frollo, Venezia 1953


Singolare figura di autore, quella di Gian Carlo Guarda, fumettisticamente vir unius libri: il cui unico libro è Zanna Bianca, curioso graphic novel nato prima ancora del relativo concetto. Guarda, nato nel 1930 e scomparso nel 2016, versato nel disegno e fin da ragazzo amico personale di Hugo Pratt, oltre che appassionato di cani, iniziò nel 1948 una versione del famoso Zanna Bianca di Jack London, completandone le prime 12 pagine. Le quali, per vicende avventurose che qui non è il caso di approfondire (presenti nella prefazione del volume), finirono nei cassetti dell’autore, che però se le portò dietro in tutte le tappe della sua vita, vissuta a sua volta in parecchi luoghi del mondo. E quando, nel 2002, fu costretto all’inattività da un operazione chirurgica mal riuscita all’occhio, sapendo che dopo pochi anni sarebbe rimasto cieco, ascoltò... “il richiamo”, per citare coerentemente ancora London, di carta e matita. Portò alla fine la trasposizione del romanzo, iniziato mezzo secolo prima. 

Zanna Bianca, un graphic novel un po’ insolito. Descrive le avventure del cane omonimo, un lupo grigio che vive una moltitudine di eventi di ogni genere, sullo sfondo del fascinoso paesaggio delle foreste dello Yukon: per lo più drammatici, qualcuno sentimentale e per sua fortuna con una conclusione rasserenante. 


 

Due Tavole dello Zanna Bianca di Gian Carlo Guarda. A sinistra una tavola completata alla fne degli anni Quaranta, a destra una tavola ultimata negli anni Duemila


Tecnicamente è costituito da tavole quasi senza balloon (solo qualcuno nella parte finale) con didascalie un po’ verbose dentro ciascuna delle vignette, le quali a loro volta rispecchiano un disegno dalle sfumature in stile naïf; sono minuziosamente descrittive sul piano naturalistico, quasi tutte dedicate ad apprezzabili raffigurazioni di animali di ogni genere, come del resto la storia richiede, essendo una trasposizione fedelissima del romanzo. Si può presumere che se Guarda si fosse dedicato fin da giovane alla carriera di fumettista, sarebbe stato un ottimo autore di racconti d’avventura. 


Gianni Brunoro, Associazione Nazionale Amici del Fumetto Italiano è critico letterario italiano specializzato nel fumetto, è direttore responsabile della rivista Fumetto 



Gian Carlo Guarda, Zanna Bianca, Ed. Amazon, (Torino), 2020, 92 pp. in B/N, f.to 22x28, brossura.

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Wednesday, March 24, 2021

Pedamentina a Scampia. La nuova stazione dell’arte a Napoli di gambardellarchitetti

di Antonino Saggio






Finalmente il memorabile progetto della metropolitana di Napoli è giunto a Scampia. Per la verità non so bene che aggettivo usare per la metropolitana di Napoli. Lasciamo stare il memorabile e usiamo semplicemente, se pensiamo ai fruitori,  fortunato.  In particolare per chi non conosce la metropolitana, vi assicuro,  vale assolutamente un viaggio perché avrà l’occasione di visitare una straordinaria collezione di arte e di spazi pubblici. Una collezione che si snoda in grandi invasi che conducono ai treni e fanno tutto il loro dovere distributivo e funzionale, ma assommano su di sé molti altri significati.


Il primo di tutti è che fanno cittadinanza. Vuol dire che la città e i suoi abitanti si riconoscono nella bellezza della metropolitana, ne sono fieri e la difendono. Le sedici  Stazioni dell’arte sviluppano sempre un pensiero contemporaneo sulla bellezza anche quando, come è giusto che sia, diventa forte e dissacrante, quasi violento, o quando reinterpreta Napoli stessa, nei suoi colori, nei suoi anfratti, nei suoi stessi sotterranei.

Come sapete la metropolitana di Napoli è un esempio di progetto urbano riuscito. Della sua nascita, come di quella di Roma, esistono tre o quattro versioni. Una bella è che sia nata dalla tesi di laurea del cantautore Edoardo Bennato (vedi) che mostrava come connettere le linee Flegrea, Cirunvesoviana, Alisana con la vecchia metropolitana in un disegno unitario. 


Di certo il progetto fu concretizzato nei due mandati dal 1993 al 2000 di Antonio Bassolino, implementata da Ennio Cascetta professore di trasporti e dalle figure di Benedetto Gravagnuolo e Alessandro Mendini per l’architettura e soprattutto di Achille Bonito Oliva per l’arte. Alla base di questa opera memorabile quindi la sinergia  di alcuni protagonisti con le idee chiare che  generano attorno a sé un mulinello di forze, di volontà, di capacità. 


Ultimamente sono stati superati anni di stasi grazie all’azione decisa di Vincenzo De Luca attraverso fondi UE gestiti dalla regione, di Umberto de Gregorio presidente Eav (Ente autonomo volturno) e grazie al Coordinamento artistico di Maria Pia Incutti, Fondazione Plart si è finalmente riaperta la vicenda della metropolitana di Napoli anche negli anni di Luigi de Magistris.


Appena consentito dal Covid, nel maggio del 2020, è stata inaugurata appunto l’ultima  stazione della serie a Scampia (ma un’altra è in costruzione, quella di Benedetta Tagliabue al Centro direzionale). Dicevamo la stazione di Scampia, quartiere simbolo del degrado della periferia napoletana attraverso anche le serie televisive. 


Situazione di fatto


Questa stazione era un vero e proprio cantiere a cielo aperto, in cui coabitavano la vecchia stazione e le strutture di una seconda stazione che avrebbe dovuto ristrutturare la prima ma mai finita. In questa babele angosciosa e pericolosa, gli abitanti fruivano del servizio tra macerie e motorini parcheggiati. È a questo punto che inizia il progetto dell’architetto Cherubino Gambardella che firma nel 2018  il restyling con la partner dello studio gambardellaarchitetti Simona Ottieri.


Conosco Gambardella da trent'anni e sono innanzitutto lieto che un architetto napoletano possa lasciare un segno nella propria città. Ma questo aspetto è secondario, quello che conta è la forza dell’opera. Gambardella ha sempre studiato, anzi amato, la sovrapposizione spesso caotica di finito e non finito, di natura e architettura che è un dato caratterizzante l’edilizia e l’architettura di Napoli. È una sorta di “ripugnante ibridismo” come lo definì Benedetto Croce per il suo farsi per strati in un inseguirsi di spazi, volumi, frammenti, nel non accettare il “finito”, il lindo, il classico per inseguire una sorta di perenne mutevolezza. Gambardella vi ha dedicato libri e articoli e soprattutto  nei suoi molti progetti cerca la presenza delle tracce del passato per risvelarle in maniera inaspettata.


Disegni di Gambardella in cui si rappresentano concettualmente gli elementi chiave del progetto


 

Cherubino Gambardella, tecnica mista roller su carta stampata 2018, sintesi del progetto dalla facciata all’interno e collisione di forme.



 Non ama quindi le tele bianche e finite, ma un “terreno-palinsesto”, un collage di tracce a cui aggiungere le proprie. Dunque la difficilissima situazione di Scampia è per lui quasi ideale. Naturalmente usa la tecnica della sovrapposizione. Così un grande muro si sovrappone all’eterogeneità dell’esistente per definire il fronte principale di entrata della stazione da nord e dare un nuovo volto alla città. È un volto vibrante e mutevole, composto da aste metalliche irregolari. Di giorno scintillano alla luce naturale, di notte rimbalzano la luce smaterializzando il volume. Dal grande muro emerge lo sbalzo di una pensilina semicircolare che conduce al grande invaso della stazione vera e propria. Qui si sente forte, come in tutte le nuove stazioni di Napoli, la presenza dall’arte con l’installazione di Gian Maria Tosatti “Lo scambiapassi,” con “Tracce di rissa” di  Enzo Palumbo e le fotografie di Luciano Romano dedicate ai nuovi musicisti napoletani che attraverso composizione  sonora da Desiree Klein pervadono lo spazio anche con le loro musiche.


Sopra alle opere e alle fotografie, quasi a sottolinearne la presenza, corre in alto un grande bandone luccicante e dorato le cui strutture verticali fanno da portico alle opere, ma quello che caratterizza architettonicamente l’invaso è la grande scalea appoggiata  al muro verso settentrione e che conduce al piano dei binari superiore. La scalea è accompagnata da irregolari alberi-pilastri che sorreggono un nastro-pensilina che segna come un vettore lo spazio, accompagna il visitatore e poi, ruotando su se stesso, esce a segnare la facciata sud che dà alla quota superiore dal piano binari. 

Così, ripercorrendo il nastro all’indietro e osservando la scena dall’alto e il brulicare di persone ed eventi nella stazione si sentirà come gli architetti facciano tesoro della teatralità con cui si danno gli spazi pubblici a Napoli. Scendendo la scalea, ci verranno forse in mente le Pedamentine di Napoli, le strade che connettono le quote diverse della città e che aprano improvvise viste agli spazi e al paesaggio e la notte fanno sperare di catturare un raggio di luce dorata.

Antonino Saggio



Sequenza fotografica dall'entrata inferiore a Nord- Ovest con la lunga facciata, al grande vano inferiore, alla scalea che conduce alla quota superiori dei binari alla facciata superiore a Sud in cui sbuca il "nastro dorato" che organizza all'indietro tutti gli eventi e gli spazi del progetto







Il punto in cui si traguardano i vari livelli





La facciata a Sud in notturna.




Committenti: Plart, Ente Autonomo Volturno, Regione Campania, Aet Srl

Architettura: gambardellarchitetti: Cherubino Gambardella e Simona Ottieri

Con Alessandro Marotti Sciarra, Alessandra Acampora, Antonio Capolongo, Francesca Filosa.

Coordinamento artistico generale: Maria Pia Incutti

Artisti: Luciano Romano, Gian Maria Tosatti, Enzo Palumbo

Istallazione sonora a cura di Desiree Klein

Esecuzione: Consorzio D’Imprese Ascosa

Rup: Fiorentino Borrello

Tempi: Progetto 2018, Esecuzione 2019-2020

Fotografie di Luciano Romano e Cherubino Gambardella















Lo scritto è stato pubblicato  come:
Antonino Saggio, Pedamentina contemporanea. La nuova stazione dell’arte Napoli di gambardellaarchitetti, Exibart, n. 110, dicembre 2020 (pp. 78-79). e successivamente come  La nuova stazione dell'arte a Napoli sempre da ExiBart on line