Wednesday, July 31, 2013

Saltare oltre per mostrare agli altri che ciò è possibile e che c'è un mondo qui.


In "Introduzione alla Rivoluzione Informatica in architettura" (Carocci 2007) illustro che il punto è cercare di "costruire" il mondo ad immagine e somiglianza dello strumento (!). Il concetto è condensato nella parola reificare. La prospettiva non serve solo a vedere/pensare il mondo (1), ma a "costruire" il mondo per essere capito e abitato attraverso essa lei medesima prospettiva. La prospettiva è lo strumento che innesta la rivoluzione architettonica di Brunelleschi. Brunelleschi - inventa ! - una architettura nuovissima e rivoluzionaria per essere prospettivizzabile!. Mi sono soffermato su questo punto moltissime volte perché è cruciale e perché innesta l'idea fondamentale che "lo strumento" (lo chiamo così seguendo Alexander Koyrè, piuttosto che "forma simbolica"alla Panofsky) determina crisi, invece che soluzioni!! Anche lo strumento informatico è "fonte di crisi"ovviamente, quando ci si interroga non tanto su quanto esso serva a fare le cose che facevamo già, ma su che nuova idea di spazio e di architettura questo strumento potrebbe innestare.

Questa idea struttura la collana "La Rivoluzione Informatica" (ragazzi siate orgogliosi di leggere queste spiegazioni dirette e veloci in un blog o in un face book!) e si ritrova forte nell'ultimo capitolo di "Architettura e Modernità dal Bauhaus a La Rivoluzione Informatica" (Carocci 2010). Spero di non farvi girare la testa. Ma è esattamente questa questione che si ricollega con il tema del salto ripreso da Luigi Prestinenza Puglisi (2), come fatto della "nostra" generazione (francamente avrei dei dubbi su questo, certamente è un mio leit-motiv fortemente condiviso in alcune fasi della sua vita anche da lui, ma ... "dalla nostra generazione"? mi piacerebbe aver influenzato tutta la nostra generazione, ma credo che il mio lavoro su questo punto (crisi, informatica, salto, cambio di paradigma) abbia esercitato influenza certamente su di lui e forse su altri, ma non credo affatto che sia così generalizzato, magari!).

La disputa tra i continuisti e i discontinuisti della linea evolutiva... messa in evidenza da Aragona (3) può essere illuminante solo se si capisce che se non entra in gioco la crisi, la faccenda si impantana! Quello che determina uno scatto rispetto alla lenta evoluzione continuista è appunto una crisi, che obbliga a cambiare (anche se i tempi dei cambiamenti possono essere di diversa durata - ! ) (4)

 E' quindi la crisi che innesta la ricerca di una estetica di rottura e cambiamento, e una tensione alla modernità , .. una frase che da quando Bruno Zevi me la disse attraversa molti dei miei scritti e discorsi. Ripresa mille volte, ma sempre utile. E voglio dire con molta chiarezza, una volta per tutte, che se è certo che la frase mi fu detta da Zevi (e mai veramente da lui sviluppata) essa è diventata arma proprio nelle mani di chi scrive perché la crisi non è solo quella sociale o politica, ma spesso la è crisi data dall'arrivo di un nuovo strumento! L'informatica, appunto, è prima "crisi" che soluzione perché innesta  interrogazioni, e ricerca sul nuovo strumento!  E il problema non è affatto un problema di Linguaggio, è molto molto più ricco di implicazioni.

Ma pensate a un'opera come Blur! in quel caso l'informatica serve per fare le stanzette dell'alberghetto in Autocad copiando i lavandini, oppure innesta la domanda su che cosa vuol dire l'interattività, che tecnologia implica che nuova visione di architettura suggerisce, che cambio di paradigma innesta?

Riassumendo: si, procediamo per salti, non perché ci piace ma perché abbiamo il coraggio di interrogarci criticamente. Pochi se lo possono permettere e pochissimi con continuità. Questa interrogazione non è "soluzione" ma crisi, ed è faticosa e non ha approdi predeterminati. Una di queste fondamentali crisi è quella rivolta all'arrivo di nuovi strumenti. "Datemi una corda e costruirò" - "Lo strumento di Caravaggio" la esemplificano.


Note
 1. Alessandro Luigini: "Negli anni in cui questa rivoluzione ampiamente incompresa si compiva in termini maturi (i primi anni 2000) ho avuto la possibilità di studiare il fenomeno in modo, col senno del poi, molto approfondito e sperimentale, tanto che la mia tesi di laurea (sul rapporto tra architettura e cultura digitale) fu compresa solo dal mio relatore e dal mio correlatore... e negli anni a seguire (parliamo di 2009-10) portai ancora alcune tesi elaborate quasi 10 anni prima in un workshop per la scuola di dottorato del Politecnico di Torino, e le discussi con Marco Brizzi, Nino Saggio e una collega della Columbia University del quale ora mi sfugge il nome. La pervasività del digitale non è bilanciata da un'analoga pervasività del dibattito teorico che ne è seguito. Inoltre ti segnalo un mio scritto (credo introvabile, per cui te lo invierò via mail) sulle FORME SIMBOLICHE, in cui estendevo la visione di Panofsky all'ambito cartografico, in cui dimostro (anche o soprattutto grazie agli scritti di Egerton) che la scoperta dell'America sarebbe stata impossibile senza il processo che portò alla condifica della prospettiva rinascimentale. Rappresentare (in prospettiva dal 400 al 900, in digitale oggi) è una forma simbolica per vedere\pensare il Mondo. " post contenuto in: Luigi Prestinenza Puglisi Autobiografia scientifica 38 su Face Book il 31 luglio 2013

(2) "AUTOBIOGRAFIA A-SCIENTIFICA (38): l’idea che ha accompagnato la mia generazione è che la conoscenza proceda a salti. In realtà si tratta di una ipotesi che ha le sue origini nella filosofia neokantiana. E difatti uno dei libri che ha segnato la mia formazione è stato La prospettiva come forma simbolica di Erwin Panofsky, un saggio che spiegava come un certo modo di vedere lo spazio, quello prospettico appunto, non era affatto universale né tantomeno naturale e dipendeva da una cultura, cambiando la quale si sarebbero determinato un salto concettuale e nuove visioni del mondo. Sulla stessa idea di conoscenza per salti sono fondati i ragionamenti di altri filosofi e scienziati: si pensi per tutti ai concetti di episteme di Foucault o alla concezione dei paradigmi di Kuhn. L’ipotesi di lavoro dei libri Hyperachitettura e This is Tomorrow era conseguente a questo approccio: e cioè che la civiltà elettronica della quale siamo oggi pervasi potesse rappresentare uno di questi salti epocali. Da qui appunto l’idea di dividere il novecento in due periodi distinti, uno segnato dallo standard e dal meccanico, l’altro dalla ricerca della diversità e dai flussi immateriali e, soprattutto, il bisogno di individuare nell’architettura caratteri salienti che testimoniassero il salto. La ricerca del nuovo non era quindi determinata né dalle mode né da altri fattori estrinseci ma da un bisogno di capire in che modo la nostra società aveva e avrebbe reagito a trasformazioni epocali. Ovviamente con la consapevolezza che certi fenomeni avvengono non sull’onda corta della cronaca ma su quella lunga della storia. D’altra parte il cemento armato, per fare un esempio di una innovazione che ha agito sul modo di costruire, è stato inventato alla fine dell’ottocento ma i 5 punti dell’architettura moderna di Le Corbusier, che ne formalizzavano le conquiste , sono stati mesi a punto nella seconda metà degli anni venti, oltre cinquanta anni dopo. Se non si capisce il nesso tra cultura e ricadute architettoniche non credo si possa mai capire la passione con la quale certe scelte formali sono state da me e da altri critici sostenute e il perché abbia spesso fatto ricorso a vocaboli quali reazionario, tradizionalista, luddista contro gli avversari di queste tesi. Infatti, si parlava di forme ma, insieme e soprattutto, di concezioni del mondo. Quale è stato l’errore fatto? Che in un primo momento, ma solo in un primo momento, siamo caduti in un certo meccanicismo senza approfondire, per quanto sarebbe stato dovuto, il fatto che la storia non solo registra il cambiamento tecnologico ma se ne difende producendo cambiamento culturale. Per capirci e facendo un esempio. Oggi reputiamo che una risposta alla società delle macchine più intelligente sia stata quella elaborata da Wright, che attaccò i difetti della standardizzazione puntando alla natura ma senza esorcizzare la prima ( anzi ripensandola), invece che dal Klein e dai teorici dell’existenz minimum che erano succubi dell’ideologia del taylorismo e della catena di montaggio. E così non è detto che per la migliore risposta alla società dell’elettronica siano le sfogliatelle o i cavolfiori digitali di Greg Lynn ma potrebbero esserlo di più i ragionamenti sofisticai di un Herzog@de Meuron o di Diller@Scofidio o di Jean Nouvel o dello stesso Renzo Piano. Certo è che non ha senso, come invece hanno fatto altri critici, dichiarare che la nuova architettura sia ammalata di nuovismo e che le nuove forme, a questo punto, varrebbero esattamente tanto quanto le vecchie (continua)" Luigi Prestinenza Puglisi Autobiografia scientifica 38 su Face Book il 31 luglio 2013

(3) Guido Aragona salti o "equilibri punteggiati"? (rif.Gould Eldredge, poco dopo, 1972 http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_degli_equilibri_punteggiati e

 (4) La pittura per esempio è in genere molto più rapida dell'architettura, e a volte la letteratura e la poesia ancora più rapide della pittura. Ma non sempre è così. Per esempio la "crisi" della scoperta della prospettiva influenzò rapidissimamente la piccola enclave dove era nata e attraversò come un fulmine pittura architettura e scultura!

1 comment:

Alessandro Luigini said...

Preciso che nel mio breve post scrivo "Rappresentare (in prospettiva dal 400 al 900, in digitale oggi) è una forma simbolica per vedere\pensare il Mondo." dando al termine "pensare" l'accezione di "progetto", costruito. Mi riferisco in particolare a una simmetria fondamentale e irrinunciabile per l'architetto: la simmetria percezione/proiezione, processo modificato dalla cultura digitale ma non sostituito.
PS: nel corretto "copia e incolla" hai riportato anche un mio errore di battitura: lo studioso a cui mi riferivo è S.Y. Jr. Edgerton.