Thursday, March 23, 2006

Corso 06. Lez. 4a. Architettura e comunicazione. Esisto in quanto inform


Ascolta la lezione Seconda Parte, 80 minuti. Vedi le immagini Corso 2006 La Sapienza Roma.

La lezione si occupa del ruolo che l'architettura ha nella società dell'informazione. Affronta i più diretti ed evidenti fenomeni del rapporto architettura società dell'informazione iniziando a discutere del ritorno in campo delle figure retoriche.

12 comments:

Anonymous said...

La rilettura delle architetture secondo il metodo dell'interrogazione "diretta" è sicuramente molto utile per inquadrare il discorso della ragione d'essere di molti progetti. Ma lo scarto che si sta avendo oggi rispetto all'architettura funzionalista secondo me è direttamente collegato a quella che è stata la sua esperienza all'interno della storia del secolo scorso. Nel mondo moderno, e quindi anche in architettura, la "funzione" di un oggetto è ormai data per scontata, e non importa nemmeno più tanto alla maggior parte delle persone di capire perchè e come un dato oggetto funziona: estremizzando il discorso l'impressione è che non importa se un oggetto funziona bene o male, quanto piuttosto se veicola un determinato messaggio, che può essere l'appartenenza a una determinata categoria sociale come l'affermazione della propria individualità (e la convinzione di affermare la propria individualità tramite l'adesione a un brand mi pare una prova dell'alto livello raggiunto dalle scienze della comunicazione).
Quindi la funzione informativa, attualmente principale all'interno del movimento architettonico contemporaneo (e precedentemente aborrita in quanto reminiscenza della propaganda dei regimi totalitari), esiste in quanto tutti gli studi sulla funzionalità o meno di determinate distribuzioni, organizzazioni interne, strutture sono già stati fatti, e si può fare lo scarto successivo. Il museo di Frank O. Gehry a Bilbao esiste in quanto polo di attrazione e rinnovamento, come manifesto pubblicitario del recupero di una condizione di degrado e di rivalorizzazione della città, ma "temo" che sotto quella pittorescamente interpretata pelle di alluminio l'edificio funzioni bene anche come museo in sè.

Anonymous said...

a)esisto in quanto informo, esisto in quanto in-formo:
"usami" sembra essere la parola chiave con cui comunica la nuova architettura, credo che negli ultimi anni l'elemento fondamentale della domanda "what....if?" sia l'uomo che attraverso la sua azione-iterazione con l'oggetto (dal cucchiaio al grattacielo)lo attiva, lo forma, lo trasforma per funzioneformarappresentazione. Dallo "Spazio Elastico" di Gianni Colombo nel '67 alla piazza dei West8 a Rotterdam...
b)per il discorso sugli ITA e sul simbolo-segno consiglio di guardare il lavoro degli Electroland

Anonymous said...

E' inevitabile tornare a parlare del museo Guggenheim di Bilbao. L'operazione si presta a così tante interpretazioni diverse, che non si può non ammettere che Frank O.Gehry abbia infilato ben bene il coltello nella piaga.Mi spiego. La legge "esisto in quanto funziono" , stracciata dalla "esisto in quanto comunico" si realizza in pieno, perchè come con effetto calamita,c'è la voglia di vedere questo "oggetto" in quanto tale.Non so dire se il contenitore supera il contenuto (è pur sempre un museo!),ma non credo che sia questo il punto,e dice bene Martino a "temere" che il tutto funzioni pure!Le intenzioni progettuali di chi crea non possono gestire fino in fondo l'utilizzo di un bene,per fortuna!Se la nostra società si è trasformata da oggettiva, nel giro di un secolo, in soggettiva,è quasi scontato che si impossessi di un "luogo" secondo le proprie esigenze!Viene continuamente stimolata a comportarsi così.

Anonymous said...

ESISTO IN QUANTO INFORNO!

Antonino Saggio said...

Il nesso tra la funzione "oggettiva" della architettura e quella soggettiva "legata questa appunto alla narrazione e comunicazione" è un nodo su cui dovremo tornare a riflettere

Stefania said...

CORSO CAAD 2007 - COMMENTO ALLA LEZIONE 4 - L'INFORMAZIONE MARSUPIALE

http://stefaniacaravelli.blogspot.com/

Siamo a Venezia, alla Biennale di Architettura del 2006, nel padiglione italiano: si pensa alla fondazione di una nuova città, VEMA.
Nell'area sacra della città terra e architettura sono radicate e strettamente connesse. Tanti livelli complessi e intrecciati in cui compare una griglia ordinatrice dove trovano sistemazione gli spazi necessari alle 7 religioni fondamentali (Cristianesimo, Confucianesimo, Bddismo, Induismo, Giudaismi, Islamismo, Taoismo). Ogni culto si distingue e si avvalora nel suo singolo ma, allo stesso tempo, trae forza dalla reciprocità con gli altri. E come se la lo stesso intreccio tra architettura e terra, la loro unione-fusione, sia proprio dovuta alla compresenza del sacro in ognuna di esse mantenendole unite......ma distinguibili.
La posizione di ogni spazio sacro non è casuale: interagisce con la luce, con la profondità, con l'energia. Ma soprattutto rappresenta, spiega o interroga: è lo spazio del cristianesimo a riunire...o a dividere?
Un'intenzione chiara, un messagio forte.

Il nesso FORMA-FUNZIONE si è spezzato: oggi un prodotto dell'era informatica, la terza "onda", simboleggia, monumentalizza, racconta qualcosa che vorremmo in futuro e che forse oggi ci spaventa, ma allo sesso tempo cela cose che forse non tutti possono-vogliono capire.

cosimo said...

Una breve riflessione sul rapporto tra comunicazione, astrazione e percezione.

Si può dire che queste tre parole siano strettamente interconnesse e che quindi al variare del livello di una si modifichino di conseguenza le altre. C’è poi una parola che le riunisce tutte, ma fino ad un certo punto, che è il simbolo. Fino ad un certo punto perché in se il simbolo è una cosa rivolta a tutti, generalmente riconosciuta, ma dei livelli di astrazione e di comunicazione possono arrivare a percezioni soggettive, libere per ciascuno di crearsi il proprio significato, la propria metafora.

Ora la cosa che mi interessa sottolineare e che il rapporto tra la forza della comunicazione e quella dell’astrazione determina di volta in volta diversi tipi di percezione. Per cui non si tratta di un rapporto proporzionale ne tanto meno inverso perché c’è un peso in questa proporzione dato dal nostro paesaggio mentale e dalle cose da cui questo è influenzato.

Pensiamo dal punto di vista dell’architettura e partiamo dall’ipotetica chitarra di Venturi ed a come il suo livello di astrazione crei un determinato tipo di comunicazione e percezione. Passiamo allora alle ali dell’opera di Sidney di Utzon; quella proporzione determina un simbolo. Prendiamo in considerazione poi il museo ebraico di Libenskid e riflettiamo su come il rapporto tra comunicazione e astrazione determini la percezione di una storia. Ora se è vero che, per il nostro paesaggio mentale, risulta molto più forte la comunicazione della Z di Libeskind, in relazione alla sua astrazione, rispetto alla chitarra di Venturi è anche vero che, ad un certo livello di astrazione, potrebbe perdere forza la comunicazione ed assumerne la percezione soggettiva. Mi riferisco cioè al chiasma di Steven Holl, ma anche ad esempio al padiglione serpentine gallery di Toyo Ito, o anche agli studi sui frattali di Eisenman…allora mi chiedo dove ci porterà la “via dei simboli”?

caterina naglieri said...

COMMENTO ALL'ARTICOLO 'LA VIA DEI SIMBOLI'
Oggi necessariamente si percorre la via dei simboli, per lo meno sul piano della comunicazione, dato che i nuovi linguaggi sono altamente simbolici. I passaggi in questo modo si accorciano e le barriere linguistiche si abbattono.
Viene spontaneo chiedersi quale sia il legame tra i nuovi livelli comunicativi e l’architettura, che non può certamente ignorare i cambiamenti.
Il funzionalismo forse non è mai andato in crisi, perché non è mai stato negato totalmente. Esso è oggi superato non nel senso che l’edificio progettato non debba assolvere funzioni, ma per il fatto che la funzionalità è stata totalmente inglobata, assorbita, data per scontata: nella stessa parola ‘architettura’ è già inclusa quella di ‘funzione’. Così come, ovviamente, quella di ‘forma’.
Ma c’è un quid in più che caratterizza l’architettura dell’era informatica, dettato appunto dalla nuova comunicazione.
L’opera architettonica deve comunicare.
Ma cosa?
Sta qui il nocciolo della questione.
Ogni lavoro, frutto di coscienziose analisi, è dettato dal luogo, dal suo rapporto con la città, dal volerne essere un simbolo; esso deve dirci chi è, cosa rappresenta, a quale realtà appartiene. Non esisteranno più movimenti, avanguardie o scuole di pensiero a dettare le regole. Ma sarà l’ambiente in senso esteso: l’architettura si lega al luogo, ai suoi abitanti, ai mille fattori che confluiscono in una città e, soprattutto, li esprime in maniera visibile.
Voglio interpretare quel ‘nuovo monumentalismo’ che ha trasformato il Guggenheim di Bilbao in una cattedrale in questo senso.

luisa said...

Considero l'architettura come una forma " d'arte rezionale ".
Per questo penso che oggi abbiamo il compito di percorrere "La via dei Simboli", per dimostrare che la parte razionale più spesso chiamata FORMA-FUNZIONE, non preclude la possibilità di un'architettura che attraverso SIMBOLI comunichi in modo diretto sollecitando l'inconscio.
Nella pittura, ad esempio, noi distinguiamo l'opera d'arte con l'opera accademica, cosa ci porta a questa differenza? Se nella pittura siamo passati dalle forme della bellezza classica, al cubismo, all'impressionismo, all'astrattismo,...perchè allora nell'architettura dovremmo fermarci alla reppresentanza o al funzionalismo?!?

Anonymous said...

CAAD 2007
Commento alla IV lezione e all’articolo La via dei simboli
Nella IV lezione che riguardava l’aspetto comunicativo dell’architettura, ho trovato interessante il discorso sull’analogia del linguaggio della pubblicità con quello dell’architettura, e il loro manifestarsi per simboli.
Guardando i manifesti pubblicitari come ad es. quelli di Oliviero Toscani per Benetton o il manifesto pubblicitario di Ipod, ho riflettuto sull’impatto visivo e sullo sciock che provocano anche nel passante più distratto, e come questo shock può essere quasi paragonato a quello delle architetture di Gehry o di Calatrava ecc.. anche in questo caso il passante più distratto non può rimanere indifferente.
Ma la differenza sostanziale e che la pubblicità ricerca un tipo di immagini molto forti che producano irritazione e discussioni in chi le guarda, questo comporta una conoscenza e un rafforzamento maggiore del nome della griffe, perché se ne parla male ma se ne parla.
Per le architetture di Gehry lo shock che esse producono sono di stupore, lo stesso che si provava davanti ad una cattedrale gotica, ed un architettura perché “abbia successo” deve essere accolta e vissuta dalla gente.
Fiorletta Laura

palmasirchia said...

COMMENTO ALLA IV LEZIONE:
"La via dei simboli" riguarda l'aspetto dell'architettura come comunicazione, si percorre la via dell'architettura,come il linguaggio della pubblicità.
Mi chiedo, dove giungeremo?
Fino a che punto l'architettura sarà influenzata dalla nuova tendenza? E noi come futuri architetti cosa saremo in grado di fare?

luciano moles said...

Commento a "La via dei simboli"

Effettivamente le architetture metaforiche prese da Lei come esempio lanciano un chiaro messaggio a chi le osserve. Tutte tranne Nemo di Piano ad Amsterdam! Sinceramente oltre a rappresentare una nave, quale messaggio vuole lanciare? Qual èla sua forza? Molti lo considerano il nuovo simbolo di Amsterdam, ma perchè? Solo perchè progettata da uno degli architetti più famosi al mondo? E' imparagonabile all'opera di Gehry a Bilbao.
Ho avuto modo di visitare di recente Nemo e devo dire che risulta pesante, non ben progettata nei particolari e non si capisce perche egli lo abbia dovuto progettare a forma di nave. Quel che voglio dire e che le altre opere da Lei citate hanno un loro perchè: p.e. il museo ebraico di Liebeskind a Berlino esprime con la sua forma e i suoi spazi uno stato d'animo. Il Guggenheim a Bilbao, con la sua forma caotica, rappresenta bene la situazione della ex città industriale e la forza delle direttrici che si scontrano identificando il punto in cui è stato costruito.
Ma tutto questo a parer mio in Nemo non c'è! Perciò Le chiedo: Perchè dovrei considerare quest' opera di Piano un' opera significativa nel panorama dell'architettura contemporanea???