I luoghi impressionanti
Mi è capitato per le mani il libro curato da Giorgio Bassani, editor di Feltrinelli cui si deve la scoperta di Giuseppe Tommasi di Lampedusa. In questi "Racconti" (1961) ve ne è uno sui suoi luoghi. Certo mica capita a tutti di raccontare il teatro di famiglia nel palazzo di Santa Margherita in cui si fermavano compagnie di attori ambulanti che giravano paese paese Italia e Sicilia.
Uno pensa che quello ha cose mirabolanti da raccontare .. e noi.. solo piccole cose, piccole cose.
Ma in realtà raccontare i luoghi del proprio imprinting, i luoghi in cui noi abbiamo preso coscienza del mondo e di noi nel mondo, e a cui sempre torniamo nella mente, è importante a prescindere! Qualunque cosa è mitica, è bella, anche il ghiaccio squagliato in cui si è visto il muso di una foca... che ne so?
Credo inoltre che descrivere i luoghi sia doppiamente terapeutico per un architetto.
In questo spirito vi volevo raccontare del mio luogo dell'imprinting (avete capito che luoghi "impressionanti" deriva da imprinting /imprinted vero?)
Il mio luogo dell'imprining si chiama Galice. Una proprietà di miei parenti (vi potrei raccontare la storia, ma adesso lasciamo stare) tra Mongiove e Patti, in un tratto pianeggiante.
Dunque come spiegarvi Galice? Ho pensato di farvi prima capire e poi sentire Galice, attraverso una doppia lettura: una spaziale e una esperienziale.. diciamo così.
Per immaginare Galice dal punto di vista spaziale bisogna capire tre strutture che vi coesistono. La prima è quella di più ampio e possente respiro. E' quella delle fasce parallele.
Le fasce parallele di Galice partono dall'orizzonte con quelle blu profondo del mare lontano poi ci sono le fasce turchine, celesti, cerule di nuovo oltremare e poi piccole piccole linee bianche di schiuma e poi la fascia mobile dell'arenile bagnato e poi i sassi sulla spiaggia. A queste sequenze di linee parallele (che poi negli anni ho capito stanno per diversi tipi di fondali e diverse battute d'onda) ve ne succede un'altra: quella della macchia mediterranea: piccoli arbusti verde olivo, ma più azzurro chiaro, che mica so come si chiamano.. forse quelli di D'Annunzio?. Questi arbustelli creano un altro filare che filtra, la fascia di vigna subito dopo. Si! siamo a trenta metri dal mare e ci sono le vigne! roba da non crederci. E poi poi poi e poi ci sono loro: incredibili, alti, grossi si dio mio ci sono i cipressi. Si i cipressi che costeggiano le strade bianche che corrono parallele al mare e ai campi.
Dopo i cipressi che sono i primi elementi di prospettiva, giardini verdi di arance e di limoni.
Questo insieme di linee e di strutture parallele che dall'orizzonte si inseguono nel mare, nella spiaggia, nelle linee arruffate della macchia e in quella dei grandi e alti cipressi creano il tappeto continuo di Galice. Presente un Klee?
A questa struttura se ne combina un'altra, ortogonale alla prima. A ponente, verso Patti e poi Palermo c'è un grande torrente o fiumara. Le fiumare sono ampie ampie quasi 100 cento metri di larghezza e hanno gli stessi sassi o quasi del mare. A volte vi si vede l'acqua che scorre in rivoli e sembra una cosa magnifica, una cosa magica, una cosa pazzesca vedere l'acqua nei torrenti! un evento. Questo grande torrente non è l'unica struttura perpendicolare al mare e alle strisce parallele, ve ne sono anche altre che sono le strade sterrate bianco gialle tra i campi. In particolare una che la ricorderò sempre che andava tagliando dritta dritta i campi e la vigna e conduceva con una leggera salita alla spiaggia.
Visualizzate? Un insieme di fasce parallele dall'orizzonte ai campi e ad esse contrapposte ma indispensabili delle strutture verticali e penetrative. A questi due sistemi se ne aggiunge un terzo che diciamo scattered.. episodico. Era il sistema delle costruzioni che appunto non avevano almeno ai miei occhi una chiara struttura ma si assommavano una sull'altra con regole facili facili.
Il centro di Galice era rappresentato almeno per me da una casa a due piani non intonacata che era in un grande spiazzo a cento cinquanta duecento metri dal mare e che stava parallela alla spiaggia, ma da essa separata dai campi delle vigne e dei cipressi. Si sapeva che c'era la strada dritta al mare ma mica si vedeva il mare. La parte di destra verso Patti della casa era abitata, quella di sinistra verso Tindari non l'ho mai capito.. per me era misteriosa. La casa era tutta rotta, non intonacata e come dire veramente mal messa con una scala di pietra senza pretese sul lato corto verso Patti.
Si saliva la scala e vi era un piccolo ingresso, a destra una specie di antro cucinone, a sinistra una dentro l'altro tre stanze la primo sorta di soggiornino pranzo con finestra lunga a terra ma senza balcone. dopo la terza stanza ci doveva essere il bagno e poi altre stanzette sul retro che riportavano facendo il giro alla cucina.
Poco più vicino al mare sulla destra della casa madre c'era una casa colonica, ad un piano con davanti uno strana rotonda a terra in una specie di cemento battuto.. uno spazio multi funzionale che serviva dalla vendemmia al ballo, al gioco. Me la ricordo questo cerchio di cemento come la quintessenza di uno spazio multi tasking.
invece all sinistra della casa antica c'era una piccola casa ad un solo piano forse anni quaranta in cemento battuto, piccola piccola. più a monte c'era un grande arco in abbandono, forse dai tempi del nobile Ceraolo e dietro la casa si stendevano altre casette forse cantine forse magazzini forse altre casette coloniche che per me rappresentava un territorio oltre... poco battuto, poco esplorato.
In questo quadro mi muovevo e in questo quadro si muovono gli attori, ma prima bisogna pensare ai profumi e ai gusti. Non so perché, i profumi sono altrettanto importanti o quasi degli spazi. Dunque l'odore più forte, più indimenticabile più magico era quello degli arbustelli dannunziani sulla spiaggia. Un profumo forte e dolce amarognolo e magico. Anticipava il mare, ne era la promessa, sorta di sipario non solo visivo ma soprattutto olfattivo. Il mare non lo ricordo come profumo, invece i cipressi odorano e così ma meno per me i giardini. Veramente erano gli arbustelli che mandavano l'inebriante profumo.
I gusti ne ricordo solo uno ed era quella della merende che consistevano (ormai siamo cinquant'anni dopo Tommasi che aveva pane raffermo a merende) in una fetta di pane e olio con un poco di sale. Non so perché era tanto buona questa semplicissima merenda. Io credo che tra il '59 e il '62 o '63 ci sia stata una rivoluzione epocale in noi bambini: arrivarono le merendine preconfenzionate le briocheees... e poco prima i formaggini "mio" con le mattonelline psichedeliche, ma allora nel '59 in qualche modo eravamo ancora nell'Ottocento.. pane e olio a merenda.
Ecco in questa scena mi muovo io bambino di quattro annetti. Ricordo che una cuginetta voleva farmi vedere le mutandine, e credo che le vidi, poi ricordo che imparai ad andare in bicicletta lungo la strada dritta del mare, poi ricordo quando passava l'aereo di un parente aviatore che ci salutava. Ma io ero attore molto secondario, la scena era popolata da ben altri personaggi. Innanzitutto la Zia Giovanna. che doveva essere sulla sessantina ed era l'unica scampata della sua famiglia al terremoto di Messina. Era una donna triste ma abbastanza positiva. Vestita di nero, con capelli grigi e tuppo mai ordinato. Si chiamava Pisani quindi doveva essere una nipote di mia nonna Concettina e cugina prima di mio papà. Giovanna viveva con Pietro un figlio strano strano (era un figlio, poi..? o anche lui un nipote? mica ho capito..) e soprattutto con una vecchissima cameriera di nome Tindara. Tindara era veramente la cameriera dei cartoni animati, dei film. Credo che avesse un dente solo, era simpatica e di buon umore e viveva quasi sempre nell'antro della cucina.
Ogni tanto venivano le sorelle da Palermo che forse dovevano essere sue figlie adesso che ci penso, che erano mi pareva molto belle e sofisticate. Si chiamavo forse Bea e Lea o qualcosa del genere. Avevano la bambina delle mutandine Ali (?). Io e mia madre eravamo tecnicamente in una specie di lunghissima vacanza, ma non ne avevo alcuna cognizione essendo in età prescolare. Dormivamo in una stanza con un grande letto. Non so se mio padre ci venisse ogni sera. Continuava a lavorare e arrivava di tanto in tanto come una persona di rilievo, cosa che era veramente. Mia madre ogni tanto protesticchiava per il fatto che sul mio lettino ci fossero i topi al pomeriggio quando dormivo, ma non ricordo isterismi particolari. Si parlava dei topi che forse venivano dalle cantine, che forse bisognava chiudere i buchi, ma non era 'sta tragedia insomma.
Le serate erano metafisiche, questo lo coglievo.
Tra la casa della zia Giovanna e quella più in basso ad un piano si mettevano delle sedie sotto una lampadina. All'interno della casa sempre dietro una finestra aperta che però aveva una grata fitta stava una donna strana e misteriosa. Che parlava poco e che doveva avere dentro di sé una tristezza infinita. Aveva un marito bizzarro, il professore, e una vecchissima signora che viveva con loro, la zia Nina che secondo me doveva essere una sorella o cugina di mia nonna e una zia tanto di Giovanna che di mio padre.
Questo è quanto, questo il luogo del mio imprinting. Niente di eccezionale.
Eppure i tramonti tra i cipressi, la macchina di mio padre impantanata sul fiume e lui che abbracciava mia madre, l'ebbrezza dell'imparare a pedalare sulla stradina dritta, la mia fuga in bicicletta a Patti e soprattutto l'odore dei tamerici (o del ginepro o dell'erica erbora?) sulla spiaggia, rimangono impressionanti.