Tuesday, April 03, 2007

"Introduzione alla Rivoluzione Informatica in Architettura" Carocci editore, 2007



aa English version

Ascolta la discussione >>> sul volume tenutasi il 18 aprile 2007 a La Sapienza con Javier Berardo, Costantino Morosin, Rosetta Angelini e Antonino Di Raimo e on gli studenti. Ascolta la discussione >>> del 4 Giugno 2007 con gli studenti del corso di Lorenzo Imbesi, Dudi la La Sapienza.
Leggi alcune recensioni apparse sulla stampa >>> .

Il volume affronta per la prima volta una trattazione teorica complessiva del tema della "Rivoluzione Informatica in Architettura". L'autore indaga nella prima parte i contenuti che determinano un nuovo scenario operativo dei rapporti tra architettura, città e paesaggio. L'informatica intesse relazioni con l'architettura sia in senso strutturale che culturale e formale. Strutturale perché è l'intera società che ruota attorno al valore delle informazioni, culturale perché orientarsi in questo nuovo scenario è fondamentale e formale perchè le procedure messe in atto nel pensiero informatico possono influenzare il modo di concepire la forma architettonica.

Come si può definire l'informazione, quali i rapporti tra informazione e le nuove concezioni di tempo, come la stessa nozione di spazio è modificata in rapporto alla presenza delle nuove tecnologie dell'informazione sono oggetto della parte centrale del volume. Gli spazi tendono a essere sempre più multifunzionali e sono ideati attraverso geometrie complesse, la costruzione è realizzata con pezzi speciali creati attraverso frese guidate da modelli digitali, ma soprattutto è l'informazione che sta diventando componente essenziale di una nuova architettura e di un nuovo scenario urbano. L'ultima parte del volume è tesa a far comprendere come l'informazione e le interconnessioni dinamiche dell'informatica siano alimento di una nuova generazione di architetture dinamiche, interattive, sensibili: architetture "rivoluzionarie", inconcepibili in un'altra epoca storica.

Il volume lascia aperta la possibilità della scelta tra una lettura sequenziale dei diversi argomenti e una di tipo ipertestuale. E' la struttura di un testo teorico che meglio si adatta ai tempi e all'argomento dell'indagine.

I diversi argomenti sono

1 Sostanze (parte prima. Questioni di contenuto)
2. Comunicazione (parte prima. Questioni di contenuto)
3. Città (parte prima. Questioni di contenuto)
4. Paesaggio (parte prima. Questioni di contenuto)
5. Informazione (parte seconda. Aspetti teorici)
6. Tempo (parte seconda. Aspetti teorici)
7. Spazio (parte seconda. Aspetti teorici)
8. Modello (parte seconda. Aspetti teorici)
9. Reificazione (parte terza. Nuovi spazi dell'interattività)
10. Catalizzatore (parte terza. Nuovi spazi dell'interattività)

28 comments:

Anonymous said...

Caro Professore,
alcuni giorni fa ho avuto la bella sorpresa di ricevere il suo libro, ma ho aspettato, prima di risponderle, per leggerlo con attenzione.
E’ un bellissimo libro, chiaro, diretto, pluristratificato, ma che lascia nel lettore uno spazio vuoto, che fa riflettere. Il libro si completa realmente nella pagina finale degli Approfondimenti bibliografici, uno strumento ulteriore, un vero libro nel libro e nella dedica conclusiva a Zevi io inserisco la mia personale al suo lavoro, senza il quale il mio non sarebbe mai nato.
Volevo ringraziarla per i diversi rimandi che ha fatto nel testo e di più per l’attenzione nei Ringraziamenti, non me lo aspettavo e la cosa mi ha commosso.
Il libro è riuscito perché racconta la storia e la controstoria, quella eroica (le pagine sulla modernità rimangono sempre di grandissimo livello), ma anche quella privata (parzialmente celata, ma che ritorna come in un sistema web, nelle parole di Rosetta e di Antonino e non solo).
Credo che sia questa la forza che emerge nel libro, quella di condensare i diversi livelli della lettura critica, mai svincolata da problemi etici e sociali. Inoltre mi sono formato con questa sua attenzione a considerare il tempo e l’uomo come sistemi interrelati a favore di un avanzamento. Questo significa che il critico non semplifica i periodi della storia, non considera il tempo passato come uno spazio superato (come in certa letteratura scientifica), ma al contrario ne evidenzia le tensioni che spingono al cambiamento.
Inutile dire che i temi affrontati nel volume abbiano acceso in me mille altre considerazioni,
con la matita che freneticamente segnava tutte le pagine.
Un testo utile per gli studenti, anche perché il libro disvela molti livelli della composizione contemporanea, e certamante per gli studiosi e i ricercatori.

Antonello Marotta

Anonymous said...

"..... Perché Antonino Saggio approda ad una visione “della rivoluzione informatica in architettura” con lo stesso atteggiamento di Howard Gardner (padre della teoria delle intelligenze multiple) ... infatti il testo si tematizza in problematiche, temi, strumenti, insiemi, categorie con estrema chiarezza di sintesi ...." Leggi l'intera recensione e segui i commenti su "Antithesi"

Stefania said...

CITTA'

E’ stato proprio nel tema della città che sono riuscita a “ricucire” tutte le tessere del mosaico che abbiamo trattato finora.

Alla nuova era dell’informazione corrisponde una città nuova, la città dell’informazione, dove spazio e tempo cambiano radicalmente significato e tendono al reciproco annullamento.
Nell’era digitale ci troviamo in una dimensione che relativizza lo spazio e, conseguentemente, il tempo. Una città in cui lo spazio esiste e non esiste è la città in cui convivono tanti mondi paralleli, dove compaiono passagi, spiragli, proiezioni e salti. Si afferma il concetto d’istantaneità che diventa concreto grazie a quello di rete; la compresenza delle differenti possibilità, la simultaneità dei processi: la città assomiglia sempre di più ad un grande sistema nervoso che analizza dati provenienti da diversi luoghi e distribuisce informazioni a molte sedi remote; un computer a grande scala che assume, trasmette, elabora informazioni. “Le reti diffondono, personalizzano, combinano e invocano processi complessi, stratificati e ibridi di vita e di progettazione. Insomma digitalizzano la realtà” (A. Saggio).


Forse siamo ancora lontani da un modello così articolato, ma non c’è dubbio sulla direzione da intraprendere. L’architettura nella città si rivela attraverso il sistema del DRIVING FORCE: il progetto diventa combinazione delle diverse attività, si tramuta in una grande infrastruttura che annulla la “tipologia” pur seguendo la volontà precisa di arrivare a una prefigurata caratterizzazione contestualizzata. Ma come sarebbe ipotizzabile tutto questo senza la nascita delle nuove tecniche che simulano la complessità nell’elaborazione dei progetti? O ancora come sarebbe possibile pensare a edifici “vivi” e reagenti senza la strutturazione di un nuovo paesaggio mentale basatoi sulle INTERCONNESIONI dinamiche?

DOMANDA
Riascoltando la lezione sulla crisi dell’Ottocento mi chiedevo come si pone il catalizzatore (o come si porrà...se il vero catalizzatore deve ancora arrivare) nei paesi del mondo che hanno attraversato le fasi delle tre “onde” in maniera diversa da quella dalla nostra (principalmente europa-centrica)? Mi riferisco a quelle zone in cui, ad esempio, a causa del colonialismo, i momenti di crisi non sono stati “combattuti” e i pochi cambiamenti sono stati imposti, oppure ai casi evidenti, come quello della Cina, in cui l’era industriale e quella informatica si sono quasi completamente accavallate....

Monica Barbalace said...

PAESAGGIO
SPAZIO

Il mio commento è molto lungo e ha bisogno di un'immagine che qui non posso inserire, perciò l'ho messo solo sul mio blog.

vai al mio blog

Laura Fiorletta said...

Laura Fiorletta
Leggendo il libro molti dei concetti espressi a lezione mi sono risultati molto più chiari, soprattutto quando si definisce il concetto di crisi.
Ho trovato molto interessante il capitolo che riguarda lo spazio, all’inizio l’ho trovato molto complesso da capire perché comunque è difficile leggere con mente libera da preconcetti sullo spazio.

REIFICAZIONE
Leggendo PAESAGGIO MENTALE ho pensato a come l’osservatore, che si trovava e che si trova tutt’oggi davanti all’architettura della città rinascimentale e ottocentesca è come se guardasse egli stesso dentro lo strumento con cui Brunelleschi concepisce la costruzione prospettica, quindi allo stesso modo penso che alcune architetture odierne (di Gehry, Einsenman ecc..) rappresentino in qualche modo già un guardare dentro lo strumento perché davanti ad esse l’osservatore diventa un soggetto interattivo e non più passivo osservatore non ha dei piani su cui sono inscritti i prospetti ma c’è una complessità tale che l’osservatore è spinto a ricostruire, e questa ricostruzione e in ogni individuo è soggettiva. Infatti lo stesso Einsenman sostiene che non ci sono più piani su cui le cose vanno oggettivamente rappresentate e composte perché è il soggetto che osserva e raduna gli spazi.
Laura Fiorletta

cosimo said...

Sulla Reificazione:

C’è nel libro, a mio parere, un esemplificazione molto forte di quella concezione di spazio “non oggettiva” e legata al tempo che viene così articolatamente esposta ed è l’esempio delle PIRAMIDI.
Nella sua semplicità costituisce un buon punto di partenza, ma è anche logico che un lettore cerchi di immaginare un punto di arrivo. Nel farlo personalmente ho trovato un limite. Mi spiego: lasciamo per un attimo da parte questa cosa dell’interattività che in se è sostanzialmente nuova, nel senso che non c’era prima e partiamo invece dallo spazio, o meglio dalle percezioni di spazio che si sono succedute nel tempo, in relazione a diversi paesaggi mentali. Si è detto che lo spazio in se è l’applicazione di una convenzione al dato della materia; ora io non riesco ad immaginare uno spazio fatto di un tempo che è di salto in altri mondi, se non senza togliere il dato materia dalla convenzione spazio ed è questo il motivo per cui è cosi forte partire dall’esempio delle piramidi. La materia come è attualmente intesa, in senso statico, dovrà per forza di cose diventare qualcos’altro, dovrà diventare mutevole perché è altrimenti impossibile pensare ad un tempo fatto di salti, a metafore soggettive. Per capirci, la nuvola di Diller&Scofidio è fatta di acqua, senza questa nuova percezione della materia, che anch’essa c’è e non c’è, cosa sarebbe quell’architettura? Allora si sta andando verso uno spazio senza materia come in fondo è quello dei computer, o almeno senza materia come è comunemente intesa?
La mia domanda è: cosa succederà alla materia, il mattone è ancora strettamente necessario? Perché per quello che ho letto sul libro secondo me non va più bene…

Cosimo Pellecchia

caterina naglieri said...

Paesaggio

Analizziamo la definizione di paesaggio.
Nell’ Enciclopedia Italiana Treccani si legge: “Veduta, panorama; parte del territorio (campestre o montuoso) che si abbraccia con lo sguardo da un punto determinato e che suscita in chi lo contempla particolari impressioni, o si distingue per speciali caratteristiche: un p. squallido, melanconico, ridente, pittoresco; p. invernale, desertico; dalla finestra si vede un p. incantevole; fermarsi ad ammirare il paesaggio. […] ”
Sul De Mauro: “Aspetto di un luogo, di un territorio quando lo si abbraccia con lo sguardo: p. pittoresco, ridente, triste”.
Insomma secondo la definizione ufficiale sembra proprio che il paesaggio sia un oggetto bidimensionale. Non c’è verso di percepirlo in altro modo.
Ma a me questa cosa turba profondamente.
L’architettura e la progettazione più in generale devono avvalersi di una definizione “ufficiosa” che supera e ingloba la prima senza rinnegarla proprio come l’architettura contemporanea ha superato, inglobato, ma mai rinnegato i maestri della modernità.
Il paesaggio in pittura e in fotografia è una cosa, ma quello relativo alla progettazione del territorio -che sia paesaggio naturalistico o paesaggio urbano - è tutta un’altra cosa! Esso nasce, vive, muta, muore, rinasce, e soprattutto interagisce con il fruitore. È un insieme di oggetti tridimensionali dei quali solo l’immagine è bidimensionale. Perché, come insegna qualunque progettista del paesaggio, esso non ha alcun senso senza il punto di vista, cioè senza l’osservatore.
Banalizzando la questione, se fossimo dei turisti a Roma e facessimo una passeggiata per Via dei Fori Imperiali o comprassimo una cartolina che li raffigura, non saremmo in entrambi i casi dei fruitori del paesaggio? Certamente sì; ma mentre nel secondo caso ci limitiamo a guardare una immagine, nel secondo interagiamo con il luogo.
Dunque se per la pittura e la fotografia adottiamo la definizione di p. 45 secondo la quale “l’unica cosa di cui non possiamo fare a meno per pensare il paesaggio è la sua immagine” perché esso “è figura”, per la progettazione del territorio dovremmo forse adottarne un’altra, in cui l’unica cosa di cui non possiamo fare a meno per pensare il paesaggio è il suo osservatore, o meglio, il suo fruitore, che rende ancora di più l’idea di qualcosa di interagente.

Se la chiave della progettazione contemporanea è proprio l’interattività, la possibilità di infiniti collegamenti “a rete” e la coesistenza di più livelli che si intrecciano, come può il paesaggio restarne escluso ed essere interpretato come una mera rappresentazione priva di vita?

vanessa said...
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vanessa said...

Paesaggio:
In questo capitolo se pur breve si affronta il tema del paesaggio da vari ed interessanti punti di vista.
Il primo problema a cui si fa riferimento è quello di una “coscienza ambientale”, di cui oggi tanto si parla.
Dopo anni di utilizzo “sfrenato” di ogni tipo di risorsa energetica ed ambientale ci si è resi conto che queste non sono inesauribili. Da qui il tanto parlare di “edifici intelligenti”.
Nella progettazione attenta al risparmio energetico , ai sistemi passivi e all’ecocompatibilità dei materiali, l’informatica assume un ruolo fondamentale.
Infatti è attraverso la simulazione, che permette il confronto tra un’ampia gamma di variabili ( materiali,funzioni,…) che si ottiene una migliore comprensione del progetto nel suo complesso.
I modelli digitali sono costruiti attraverso una riduzione ed una semplificazione di entità reali, secondo opportuni livelli di astrazione.
L’inserimento dell’informatica nella progettazione è avvenuto per gradi;
inizialmente l’utilizzo dei software è servito soprattutto alla “rappresentazione” di un progetto, mentre oggi l’informatica assume un ruolo fondamentale nel processo ideativo del progetto stesso. Si è arrivati a definire un nuovo tipo di paesaggio, quello informatico.
Come chiaramente detto nel libro, il concetto di paesaggio informatico è ancora legato alla complessità; non è infatti immediato il passaggio tra una rappresentazione “artigianale” (quale era quella del disegno o degli “schizzi a mano libera”) e la simulazione con modello 3d.
Ma se è vero che Il concetto di “paesaggio” ribalta l’oggettivo in soggettivo (A. Saggio) e la prima associazione è quella tra paesaggio e pittura, la strada intrapresa che ci sta portando sempre più verso un “paesaggio informatico”, non rischia ,se pur soltanto nei modi di rappresentazione, di riportarci ad una chiave oggettiva?
Paesaggio è la rappresentazione estetica, condivisa collettivamente e culturalmente, ma in costante evoluzione, di una parte del mondo (A. Saggio).
rispetto questa definizione di paesaggio, possiamo dire che i modi di rappresentazione sono molteplici e completamente diversi tra loro?
Guardando questi due tipi di “rappresentazione” la prima differenza che mi viene in mente è che una è in 2 dimensioni e l’altra è un modello in 3d, questa se pur banale osservazione mi fa pensare che non possiamo parlare di paesaggio allo stesso modo.
È sbagliato semplificare dicendo che in nel primo caso osserviamo, nell’altro interagiamo con il paesaggio stesso?

luisa said...

TEMPO, SPAZIO
Innanzitutto volevo dirle grazie per la possibilità, per come è strutturato il libro, di passare da un capitolo ad un altro senza mai perdere il filo logico.
Ho trovato particolarmente stimolante ed interessante i due capitoli: Tempo, Spazio; credo che questi due capitoli siano strettamente in connessione tra loro ma allo stesso modo profondamente e segretamente autonomi.
Particolarmente interessanti e chiarificatori sono le note del capitolo Tempo, che ci “costringono” ad immaginare un mondo a due dimensioni…….cosa inconcepibile per la mente umana. Come potremmo realmente immedesimarci in una persona che si trova in un mondo bidimensionale se, la nostra natura è tridimensionale!?!?!?!?!?!!! Questo mi induce a pensare che sono strettamente legati ad un’altra parola che è Percezione, la nostra percezione!! O forse è il nostro limite!? Limite che in un certo senso è stato superato con il salto, come la sua balena sul desktop, nella quarta dimensione che è la dimensione informatica.
Con la modernità, si afferma "la separazione del tempo e dello spazio e la loro ricombinazione in forme che permettono una precisa delimitazione di ‘zone’ spazio - temporali della vita sociale" (Giddens, 1990). Credo che questa affermazione sia riconducibile al mondo di internet dove abbiamo una separazione del tempo e dello spazio, ci ritroviamo a comunicare con persone lontane da noi in tempo reale delimitando così una “ zona “ di spazio-tempo che solo il mondo del web ci consente di varcare. Questa nuova dimensione ci permette di ampliare le nostre relazioni interpersonali, creando così nuovi spazi di aggregazione più stimolanti e più ampi di quelli del passato.
Nel libro di Saggio trovo particolarmente significativa la frase in cui dice che “Lo spazio non esiste in quanto tale. E’ l’applicazione di una convenzione al dato della materia” d’altronde ogni volta che apriamo una pagina web, non apriamo uno spazio? Uno spazio diverso da quello abituale, pieno di possibilità, di modi diversi e di spunti per Pensare.
Questo spazio potrebbe essere considerato come un mondo parallelo che ci permette di galleggiare tra …..?
.

palmasirchia said...

Prima di iniziare qualsiasi commento io professore la vorrei ringraziare perché la lettura di questo libro mi ha messo veramente in crisi, perché mi ha costretto a pormi delle domande che altrimenti probabilmente non mi sarei mai posta, come lei ben sa ogni crisi genera sofferenza e quindi una conseguente mi auguro crescita, o variazione di percorso.
Le vorrei parlare della COMUNICAZIONE
Il ritorno della Cattedrale
Non avevo mai percepito la variazione storica della architettura come è intesa da lei in questo capitolo. Iniziando dalla osservazione del mutamento storico legato al funzionalismo del
1926 la Bauhaus inizia una nuova era, che cancella: “ogni tipo di tipologia edilizia, di continuità strutturale ,di morfologia urbana, di cornice prospettica, lo stile storico ed in fine ma non di minore importanza della cattedrale”- Saggio-
La trasparenza diventa l’elemento fondamentale della nuova visione architettonica ,la funzione è al centro di tutto.
La scomparsa della cattedrale, intesa carica simbolica comunicativa attribuita all’architettura.
E di conseguenza scompare il simbolismo, e la comunicazione architettonica è data dalla sua stessa funzione, e dall’’importanza delle nuove tecnologie..
Ma dopo la crisi degli anni ’70-’80 , c’è per cosi dire una rinascita, ossia il ritorno al simbolismo, iniziato dal danese JOrn Utzon per l’opera di Sidney nel 1956, e continuato con la nuova cattedrale, di Bilbao 1997.
L’architettura assume un nuovo aspetto tra comunicazione ed informazione. L’informazione è un valore aggiuntivo.
La visione del nuovo aspetto dell’architettura tra comunicazione ed informazione mi pone alcune domande, probabilmente saranno retoriche, ma guardando alle storia mi viene da pensare ai corsi e ricorsi storici.
Mi chiedo, se si potrà ritornare indietro esempio come nel Neoclassicismo dopo il Rococo?.
Tale percorso secondo il mio parere è appena iniziato, iniziato da Bilbao avrà termine e in che maniera,?
Che tipo di trasformazioni potremo aspettarci?
I sarebbero mille quesiti, ma spero che il suo corso,mi aiuti a risolverli.

luciano moles said...

Catalizzatore.

Se me lo permette vorrei esprimere una critica negativa all'architettura informatizzata del futuro alla quale, forse, il Suo libro vuole prepararci.
Scrivendo sulla "interattività" Lei afferma che l'architettura deve tendere a essere [...]continuamente modificabile divenendo un ambiente che si adatti al mutare dei desideri degli utenti, aggiungo io, in nome della "nuova soggettività" anzicchè della "nuova oggettività" del Movimento moderno.
Secondo me, però, una tale architettura rischierebbe di divenire un prodotto industriale, commerciale, sicuramente personalizzato, ma paragonabile ad una Smart!
Si rischerebbe di cadere nella trappola del marketing promettendo agli utenti/clienti ambienti sempre più personalizzabili e quindi
riempendoli di sistemi elettronici con i quali noi architetti non abbiamo molto da fare...
Il mondo industriale potrebbe impadronirsi del nostro mondo almeno per quanto riguarda il residenziale. Per esempio, si potrebbe produrre in serie abitazioni tipo che, con l'aiuto dell'elettronica, si adattino ai gusti dei clienti illudendoli di vivere in un ambiente personalizzato.
A questo punto la mia domanda è:" Quale ruolo avrà il futuro architetto nel processo di personalizzazione dell'architettura?
Saremo ancora degli esteti? E se sì, solo in rappresentanza della collettività e quindi nelle opere pubbliche?
Forse è per questo che nell'immaginario collettivo desunto dalla cinematografia, quando pensiamo all'architettura del futuro la immaginiamo incolore, fredda e insipida!

stefano benedetti said...

“Introduzione alla rivoluzione informatica in architettura” del Prof. Antonino Saggio, ottimo testo per riflettere e iniziare a comprendere le trasformazioni, o meglio, se vogliamo, le rivoluzioni che stanno attraversando la nostra epoca.
Il libro si presta ad una lettura sia sequenziale che “a salto”, a rete, quasi fosse una pagina web, gli argomenti trattati e le considerazioni dell’autore sono interconnesse tra loro, secondo una trama che attraversa l’intero scritto, portando il lettore passo passo o catapultandolo improvvisamente nella rivoluzione informatica in atto.
Il concetto della centralità del ruolo dell’informazione è affiancato al cambiamento di visione nella progettazione, passando da uno schema lineare “if..then” ad uno non lineare “what.. if”, reso possibile dall’utilizzo del computer e delle sue potenzialità di calcolo che permettono la gestione di migliaia di informazioni tra loro interconnesse. Passiamo così da un modello induttivo, funzionale, in cui “le parti di un progetto funzionavano quando si trovavano in un’ottimale sequenza e in un corretto dimensionamento reciproco” ad uno deduttivo, in un processo “dall’alto verso il basso”.

Le potenzialità dell’informatica trovano a mio avviso applicazione oltre che nella progettazione architettonica, anche in quella strutturale, ove la possibilità di generare un numero elevato di “modelli” della struttura reale, consente la simulazione del comportamento della stessa quando viene sottoposta a sollecitazioni di varia natura (vento, sisma, effetti termici, accidentali…). In questo campo il computer si dimostra imbattibile in quanto a potenza e velocità di calcolo, consentendo al progettista strutturale, (che in una prima fase dovrebbe coincidere con la figura stessa dell’architetto), di dimostrare sin da subito la coerenza del progetto e la sua realizzabilità. La possibilità di combinare tra loro le varie informazioni, consente la verifica in “tempo reale” delle soluzioni e delle scelte progettuali adottate; proprio il tempo (la famosa quarta dimensione), assume una nuova centralità ed un nuovo significato, al pari dello spazio. Risulta infatti quasi impossibile, nella nuova visione, parlare di spazio e di tempo separatamente.

Un’opera architettonica viene pensata, progettata, costruita e vissuta, nella sua dimensione temporale e spaziale contemporaneamente, dando luogo a scenari diversi a seconda della posizione o del tempo dell’osservatore. Interessante il parallelo dello spazio tempo in Flatlandia e della osservazione sulla cognizione delle figure nel piano: se infatti il colore potrebbe non risultare strettamente necessario alla identificazione della figura, essendo sufficiente “circumnavigarla” (in una dimensione spazio-temporale), si deve aggiungere che questa circumnavigazione deve avvenire a distanza dall’oggetto strettamente costante, non potendosi distinguere in un piano i punti di cuspide o di variazione di curvatura a distanza non costante, come avviene nel mondo tridimensionale, dove la distorsione prospettica ci viene in soccorso. Altra osservazione potrebbe essere fatta sulla consapevolezza o meglio sull’intuizione dell’esistenza di uno spazio con una dimensione in più rispetto a quello che stiamo considerando. Se è vero che l’espandersi ed il contrarsi della circonferenza potrebbe far supporre l’esistenza di una sfera che si muove e trasla in senso perpendicolare al piano, lo stesso fenomeno potrebbe essere semplicemente causato da un espandersi o contrarsi della circonferenza per altre cause. Da qui osservo la difficoltà di immaginare o modellare spazi a più dimensioni se si rimane ancorati alla visualizzazione del mondo in cui viviamo.

La ricerca di nuove dimensioni ha una sua ragion d’essere, un suo parallelo, nella ricerca delle nuove forme dell’architettura contemporanea, nel processo progettuale, dove l’informazione assume ruolo centrale e dominante, dove la rete e le interconnessioni, hanno sostituito lo schema di progettazione sequenziale, ormai relegato al passato millennio. Certo, i concetti di spazio e di tempo, sono forse i più difficili con cui l’umanità abbia dovuto confrontarsi, la definizione stessa di spazio nelle moderne teorie (parlo dello spazio-tempo galileiano), assume la definizione di “fibrato”, in cui non vi è alcuna identificazione puntale tra una fibra e la successiva, anche se le fibre sono un unico tutto connesso, poiché ciascun punto dello spazio, non può essere lo stesso punto scelto in un istante precedente. In realtà assegnare una connessione tra i fibrati è una condizione molto forte, e diversa è la definizione quando ci spostiamo in uno spazio dinamico Galilei-Newton, dove il moto inerziale di una particella viene descritto dalla linea d’universo in termini di spazio-tempo e gli spazi diventano affini, ma ciò esula dal presente discorso.
Non posso che condividere il significato che la parola informazione assume all’interno dell’opera architettonica, supportata dalle nuove tecnologie di automazione o BMS, dove l’informatica regna sovrana nell’esaudire i desideri dell’utilizzatore e oserei dire, nel crearne di nuovi e diversificati, spaziando dalla percezione dello spazio a quella multisensoriale, sino ad arrivare alla integrazione totale delle comunicazioni all’interno e verso l’esterno, interfacciando dispositivi ed apparati che nel passato erano completamente slegati tra loro.

L’informazione assume così un ruolo centrale e fondamentale nella progettazione e nella evoluzione dell’architettura, partendo da una sfida derivante dalla “crisi” cui si tratta nella prima parte del libro, per arrivare a nuove metodologie di progettazione e di gestione dell’intero processo creativo, compositivo, strutturale economico, con applicazioni sino a pochi anni fa impensabili.

Anonymous said...

Mi preme sottolineare che in questo incontro, fra la ricchezza dei commenti esposti, che hanno toccato mille situazioni (il che è la misura esatta di come l'architetto nel suo occuparsi dello spazio, in realtà non si occupa che di vita), ci sia stato un punto, per me nodale.
Mi riferisco, e spero di non ricordare male, al momento in cui il prof. Saggio parlava della soggettività del desiderio e della crisi. Aspetti, questi due, sui quali sempre il prof. evidenziava le enormi aspettative sollevate dal primo (la soggettività del desiderio) nei primi anni 2000, e l'aspetto più generale ma più utile del secondo, cioè la crisi, quindi se vogliamo, la sua attitudine più specificamente operativa e progettuale.
Naturalmente non si può che non essere d'accordo. Eppure, vorrei, in questa situazione "pubblica", (come lo può essere la rete in questo momento storico) sottolineare come ci sia un legame fra le due cose molto più profondo di quanto possa sembrare.
Infatti, per me, la crisi non può non essere legata attraverso un “gioco di specchi”, due specchi posti esattamente l'uno di fronte all'altro, alla soggettività del desiderio.
Se stiamo ben attenti ad ampliare, infatti, le cognizioni che abbiamo del concetto di bisogno, tenendo ben alla larga ogni valutazione del desiderio come fatto decadente tipica di così tanta politica ancora ai giorni nostri, credo che almeno in Occidente si possano fare i conti con la soggettività delle persone, che a ben vedere è problema etico, politico, estetico dell'individuo quale "minoranza delle minoranze". Quindi, non relativismo da quattro soldi, quanto democrazia ad ampio spettro, sintonizzata davvero su tutte le frequenze. Questa definizione del soggetto quale “minoranza delle minoranze”, che tira in ballo questioni di potere, questioni di vita, e quindi di architettura, non è mia: credo di averla sentita molti anni fa da un vecchio della politica italiana, dalla radio, quando ancora si lucidavano a mano le tavole, tirando avanti fino alle 3 di notte o più. (Esame di Urbanistica II)…
Insomma, ogni vera crisi, voglio dire, se è vero che è sentita, e se è vero che è in "grado di suscitare un'estetica di rottura" come dice Zevi citando Baudrillard, non può che partire da questa minoranza che chiamiamo individuo...
Vorrei infine fare un cenno ad un altro tema, a me caro, quello dello sguardo, sollevato in modo brillante in aula, da una ragazza del corso, e postato su questo blog.
Recentemente, mi è capitato di scriverne a proposito di Warhol su On&Off (http://www.nitrosaggio.net/); tornando in aula, e pensando nel bel mezzo di valutazioni affascinanti, mi è tornata in mente come un flashback, un building- memory, naturalmente non proprio uguale all’originale, un' immagine del CAAD 2004 "Terragni Futuro" che Saggio aveva costruito e che vorrei citare. (Qui il link a quell’esperienza: http://www.arc1.uniroma1.it/saggio/didattica/Cad/2004caad/TER/HomeGT.htm)
L'immagine è ambivalente e si muove dentro e fuori: Terragni ci guarda, ci fissa dall'alto dei suoi cento anni e dalla sua capacità, il suo compagno più giovane, non guarda noi, ma un piccolo “strumento” che ha in mano. Questo doppio sguardo su cui si regge un'immagine, che attraversa il tempo, lo strumento e in definitiva SEMBRA VOLER ATTRAVERSARE LO SCHERMO, credo costituisca la misura esatta, dell’interattività costitutiva e fondante con le macchine che stiamo cercando.(mi piacerebbe “continuare” quest’immagine, ma al momento non posso)
Voglio infine, augurare a tutti gli studenti, del CAAD 2007 e della Progettazione Architettonica IV, un’esperienza unica e feconda. Come del resto, lo è stata per me.

Anonymous said...

Caro Nino ho preso il tuo libro che sto leggendo con attenzione, come se fosse
una foresta dove muoversi piano perché ci si aspetta in qualche punto un animale nuovo. ..

Anonymous said...

L'interatività, intesa come il nuovo catalizzatore della società, sintetizza il sistema di comunicazione temporaneo, pone al centro il soggetto e con la sua versatilità permette la personalizzazione invece dell'assolutezza dell'oggetto, giocando sul tempo e sullo spazio. Come il funzionalismo, l'interatività, ha un etica ed un estetica?



L'interatività, risponde ad una crisi della società moderna come la trasparenza di V. Gropius nel Bauhaus rispose alla crisi della nascita del mondo industriale?

Anonymous said...

CAP. 2
Lei ha affermato che, al giorno d’oggi, il contenitore stravince sul contenuto, quindi che si compra un prodotto guadando ciò che racconta prima di guardare la forma e dando per scontato il suo reale funzionamento.
È possibile progettare un oggetto (al giorno d’oggi) che sia funzione pura, cioè che venga comprato solo per il fatto che funzioni bene e non perché rappresenti qualcosa?
È possibile che questo oggetto abbia successo?

CAP. 10
Lei ha affermato: “Se non ci fosse stata la trasparenza, se Gropius nel Bauhaus non avesse dato pieno significato a questi molteplici livelli di trasparenza […] il funzionalismo avrebbe avuto solo un’ etica e non un’ estetica.”
Quindi si potrebbe affermare che il vetro è il materiale del funzionalismo?
C’è un materiale che rappresenta l’epoca di oggi, l’epoca della interattività? Se c’è, qual è?

Antonino Saggio said...

Rispondo A Tino Schiattarella;

1.Certo si può vendere, eccome, un prodotto che funzioni e basta! Si rifletta ad esempio sui medicinali.

2. Non credo che la chiave sia il materiale. Il vetro esisteva prima e dopo. La chiave del catalizzatore è un concetto non un materiale.
Comunque se si dovesse pensare a qualcosa di fondamentalmente innovativo nella sfera dei materiali oggi apparterrebbee alla sfera della "conduttività" elettrica del materiale.

Anonymous said...

CAP.4
Come pensa in futuro possano coesistere natura e tecnologia?

CAP.11
Si è detto che la prospettiva ha imposto un mutamento del paesaggio mentale e l'architettura è dovuta cambiare e divenire prospettizzabile; si è visto che con l'avvento della produzione industriale si è mutato nuovamente il paesaggio mentale, per cui l'architettura diviene seriale e standardizzabile; si è letto, ora, che le caratteristiche dinamiche, interconnesse e mutabili, si proiettano fuori dalla rappresentazione informatica per "informare" di sè la nuova architettura. Ma,dopo un "iter" del genere, che l'architettura ha avuto, dunque subìto delle "trasformazioni"; secondo Lei, Domani dove si arriverà? Sarà un bene o un male, per noi(designer)che ci affacciamo su quest'architettura dell'informazione?

Anonymous said...

CAP. 5

• Qual è, nel mondo informatico, il sistema convenzionale in cui ci moviamo e che conosciamo già in partenza?
• Se secondo la sua terza formulazione “informazione è l’applicazione di una convenzione a un dato”, come è possibile che in informatica esistano informazioni senza l’esistenza di dati, come descrive nella quarta formulazione?

CAP. 11

• Se si considera la differenza d’uso del prodotto tra architettura e design, l’ interattività fisica ed emotiva degli edifici avvicina e fonde sempre più le due discipline?
• Nel libro si parla di modi di produzione distinti da quelli industriali e manifatturieri e di architettura basata sulla presenza centrale della soggettività. Si tratta allora di una sorta di “nuovo metodo artigianale” di produzione e progettazione?
• Come si rapporteranno gli architetti del passato e di oggi a questo nuovo modo di concepire l’architettura?

Anonymous said...

Capitolo 3:
" Nel capitolo 3 si affronta il ruolo dell'informazione nella città tramite 8 coppie oppositive di termini,ci sembra che questo discorso applicato alla città,sull'architettura e l'urbanistica possa essere tranquillamente applicato anche al design, è d'accordo? pensa che ci sia ancora questa distinzione tra l'architettura e design o che l'informazione e l'informatica abbia unito luoghi, costruzioni e oggetti inglobandoli a vicenda? e per ultimo pensa che questo uso sempre crescente e onnipresente, soprattutto se utilizzato in modo non regolato e smodato, dell'informatica, della tecnologia, del virtuale possa in un futuro portare ad un moto di rigetto, di opposizione ad essa?

Capitolo 9:
Nel passato si usavano strumenti come il telaio prospettico di Brunelleschi. Oggi si usano gli strumenti informatici che permettono di visualizzare lo spazio e navigarlo come se fossimo piccoli dei di uno spazio virtuale. Nel futuro (secondo il discorso di Daniel Libeskind,della casa virtuale), potremo fisicamente entrare nello spazio e interagire con esso?

Anonymous said...

Capitolo 6 - Tempo

Grazie al virtuale abbiamo acquisito e continuiamo ad acquisire esperienza di qualcosa che è oltre la nostra realtà "materiale". Viviamo lo spazio virtuale attraverso le diverse rappresentazioni (immagini, testi, notazioni, codici, suoni, musica, ecc.) che esso è in grado di fornirci, ma con un tempo che non coincide con quello naturale. Il virtuale rappresenta tutte le dimensioni che noi, esseri limitati nel nostro spazio tridimensionale, riusciamo ad immaginare, ma in che dimensione si colloca? E' una dimensione davvero autonoma rispetto alla nostra? Se sì, quali sono, secondo Lei, i segni che ci portano ad intuire tale autonomia?

Anonymous said...

gruppo: Petrini,Sepigni,Vulpiani

cap.1
quali sono stati gli nput che l'hanno spinta a scrivere questo libro?

cap.9
come potrebbe essere il suo modello di paesaggio virtuale?

Anonymous said...

capitolo 11

Nel terzo capitolo del suo libro lei, parlando della sua concezione del tempo, afferma che "Se l'orologio da oggetto meccanico e localizzato è diventato digitale e onnipresente, la nostra stessa concezione di tempo ne esce rivoluzionata.". In che misura il poter leggere ovunque l'ora cambia la concezione del tempo? nel senso: perché lei lega al poter leggere l'ora ovunque il poter fare tante cose contemporaneamente e ovunque/sempre? cioè perché identifica la seconda cose come conseguenza della prima? ci chiediamo se magari non è più logico supporre il contrario, in virtù del fatto che per pianificare le tante cose da fare è stata creata (appositamente) la possibilità di leggere l'ora ovunque/sempre, cioè se magari il concetto di tempo è cambiato grazie alle possibilità offerte dalla tecnologia di cui "l'orario ovunque" è solo la necessaria consegnuenza.

Anonymous said...

Nel cap 5 lei ci dice che nella convenzione comune "informazione" è una serie di dati e, nella pag successiva, nella quarta formulazione sostiene che in informatica non esistono dati ma sempre e solo informazioni. Ma se le informazioni sono una serie di dati, informatica non potrebbe essere definita anch'essa un insieme di dati?

Anonymous said...

Nel capitolo 11.9 ci spiega il concetto del Blur. Perchè dovremmo cambiare la nostra idea di architettura attraverso il concetto di interattività e dire che il Blur non è l'estrema visione dell'industrializzazione?

Antonino Saggio said...

a Francesca Ricca, Gerald Dedel, Roberta Lo Presti

No sono convinto che Blur sia comprensibile solo all'interno di un cmbio di paradigma.

Francesco Bianco said...

Salve
questo è il mio blog

http://francescobianco.blogspot.com/

vorrei qualche consiglio per renderlo piu
interessante

Grazie Mille