Conferenza di Antonino Saggio. Ascolta la conferenza e l'intervento introduttivo di Maurizio Unali, il commento finale di Luca Galofaro e gli interventi nel dibattito di Costantino Morosin, Gaetano Tancredi, Fabio Mazzeo
120 Minui Vedi
le immagini Roma, 28 maggio 2007
4 comments:
Durante la conferenza si sono usati termini forti, si è parlato addirittura di accecamento (Paul Virilio) dell’impossibilità oggi di riuscire a vedere la realtà! Ma allora mi domando:” ma qual’ è la realtà?”
Quella che vediamo o quella che crediamo di vedere?
Bè sì, perché ormai è scientificamente provato che noi “umani”, vediamo in realtà “come se “ ovvero, il nostro cervello in maniera del tutto naturale, attua delle correzioni, come dire, delle simulazioni. Il nostro cervello ad esempio, non sopporta di vedere il vuoto e tende per questo a riempirlo, lo stesso vale per il colore ed il colore associato alla forma.
E allora mi domando, forse il nostro mondo reale è più vicino a quello che crediamo di vedere, ovvero un mondo “Come Se”.
In questo caso, i nuovi strumenti informatici e quindi il mondo informatico sono più vicini all’uomo di quanto possiamo realmente immaginare!
- I sistemi informatici sono simulatori : come se
- L’interattività cerca di riprodurre-simulare le percezioni-sensazioni umane: come se
- I messaggi pubblicitari sono metaforici, raccontano una storia: come se.
- I neuroni specchio che sono alla base del nostro apprendimento e delle nostre cognizioni emotive hanno un funzionamento: come se
- La metafora è : come se
Quindi noi vediamo e pensiamo come se.
Forse, durante la conferenza, una cosa che non è emersa con abbastanza forza parlando del libro “Introduzione alla Rivoluzione Informatica in Architettura” è la ricerca di un proprio sguardo. Questo proprio sguardo accompagna sempre i libri del Prof.A. Saggio pensiamo ad esempio ai verbi del progettare per il testo di Gehry, lui, ricerca sempre degli strumenti personali di lettura. Ed è proprio in queste “Ri-letture”, è proprio in queste “Ri-flessioni” è proprio in questa ricerca di un Proprio Sguardo il valore aggiunto del libro poiché apre e lascia aperte tante porte, tante ipotesi da pensare e ripensare, tutte possibili, tutte da verificare!
No, Prof. A. Saggio, non sono divagazioni “ forse un po’ rischiose” come le hai definite ieri sera, sono il tuo, come se.
E la cosa più straordinaria è che questo approccio è estremamente coinvolgente poiché ogni singolo lettore capisce che può pensare al suo, come se.
Come se il libro ad un certo punto ti dicesse:” ed ora, continua Tu”
Rosetta Angelini
Caro Professore,
le scrivo per porle una domanda che non ho voluto farle ieri alla sua conferenza perchè ho preferito avere il tempo di organizzarla in maniera migliore, perchè voglio dare anche a lei il tempo e la possibilità di ragionare su una possibile risposta e perchè chissà, magari avrebbe perfino risposto qualcun altro.
Il mio quesito ha bisogno dell'introduzione di un paio di figure. La prima è quella dell'architetto Passarelli, di cui abbiamo parlato anche sabato con i suoi dottorandi. La seconda è quella di un importante pensatore contemporaneo quale Umberto Galimberti, docente alla Facoltà di Filosofia dell'Università Ca' Foscari di Venezia e spesso presente nelle pagine della rubrica di cultura de La Repubblica.
Passarelli afferma che “il bravo architetto è quello che interpreta in maniera forte il proprio tempo”. Da questa frase emerge una concezione dell'architetto come interprete, come traduttore, come elemento di trasposizione, come figura che dà vita a una costruzione partendo dal pensiero del suo tempo. E' la stessa interpretazione dell'architetto che ho ritrovato fra le pagine del suo libro, nelle sue lezioni e nelle parole della conferenza che ieri sera lei ha tenuto. La frase di Passarelli è una risposta al “perchè oggi si costruisce in maniera diversa?”. Perchè l'architetto, se bravo, sa interpretare le istanze del suo tempo: discorso lineare, non fa una piega.
Galimberti, dal canto suo, interessato per forza di cose a un ambito molto più ampio, propone una visione di una società contemporanea soggiogata dalla tecnica, ma non si riferisce, come fa Virilio, a un semplicistico e retrogrado ”accecamento causato dalle nuove tecnologie”. Il filosofo colloca molto più indietro nel tempo la nascita dei presupposti di quest'era. Non la colloca né nel modernismo funzionalista, riflesso della rivoluzione industriale, né nel Rinascimento antropocentrico. Dobbiamo fare infatti un salto all'indietro di più di duemila anni e riferirci a Platone e allo spostamento delle Idee in un mondo differente dal nostro, un mondo ultraterreno. L'uomo dell'età della tecnica non si pone uno scopo, perchè la tecnica crea e sviluppa senza porsi un perchè. La tecnica spesso risolve problematiche che essa stessa aveva posto in essere, non offre un fine. La tecnica, oggi, assurge al ruolo di Dio, e come è noto “se non c'è Dio allora tutto è possibile”, come sosteneva Dostojevski nei Karamazov.
Ma l'uomo contemporaneo è migliore dell'uomo delle poleis greche? La Storia umana ha vissuto bruschi alti e bassi, fino alla nascita di Dante abbiamo vissuto molti secoli bui e anche nell'era informatica non possiamo certo dirci superiori a chi ci ha preceduto: i grandi problemi etici e sociali non hanno avuto risposta né dai regimi totalitari del ventesimo secolo né da quelli presuntamente democratici del ventunesimo, e la tecnica non ha dato certo una mano. Per farla breve la Storia non mi appare affatto come la gloriosa freccia hegeliana protesa in avanti, ma come una consecuzione di eventi più o meno casuali visti e vissuti in maniera solo apparentemente differente dall'uomo.
Quest'ampia premessa è funzione della domanda che voglio rivolgerle: il ruolo dell'architetto è “solo” quello di un interprete, di un personaggio che dice fra sé e sé “oggi la concezione del mondo non è più quella del Novecento funzionalista, è anacronistico progettare nella maniera in cui si progettava allora”? L'architetto deve progettare un edificio in linea col terzo millennio a cuor leggero anche se intimamente è atterrito dal fatto che con buone probabilità Galimberti abbia posto un problema più che concreto? Deve sbizzarrirsi e misurarsi con le nuove tecnologie, progettare torri che cambino colore insieme al rumore che c'è all'esterno, nuvole artificiali che cambino costantemente forma, giardini che sfruttino i dati di mocap per emettere suoni? In sintesi: tutto ciò ha uno scopo, un senso, un fine oppure siamo semplicemente costretti a farlo perchè così va il mondo e non si può scendere in corsa? Dà all'uomo qualcosa di più di un'interpretazione, certo affascinante, del mondo in cui vive?
Discutendone con alcuni colleghi e cercando una risposta qualcuno ha candidamente detto “è anche una ricerca”, un'affermazione che ho intepretato come un “beh l'uomo da sempre è curioso e si spinge anche dove non dovrebbe, è normale”. Ma io trovo tutto ciò riduttivo e in analisi ultima per nulla convincente: l'uomo occidentale sarà sempre stato curioso fin dai tempi di Ulisse, ma quello orientale per esempio non ha mai nemmeno lontanamente pensato di andarsene in giro su una bagnarola per il Mediterraneo, facendosi legare all'albero maestro pur di ascoltare gli irresistibili canti delle sirene.
Mi farebbe molto piacere avere il suo punto di vista sull'argomento.
Alberto Blasi
Caro professore,
ho ascoltato la conferenza da Lei tenuta alla quale non ho potuto assistere.
Mi ha permesso di “fare un ripasso” di ciò che a lezione ci aveva spiegato e volevo dirle che mi ha interessato, tra le altre cose, la parte in cui parla di spazio-tempo .. appena l’ho sentita mi sono detta “avrebbe potuto parlare anche di Einstein!” ...pochi secondi dopo, infatti, lo avrebbe giustamente nominato..
Credo sia davvero importante la figura geniale dello scienziato di origine ebraica più famoso del nostro secolo e volevo lasciarle alcune idee scritte qui, apposta perché personalmente mi ha sempre affascinato questo stravagante personaggio.
Per ricollegarmi al tema dello “sguardo”, da lei affrontato anche in aula con noi studenti, io credo che la genialità di persone come Einstein sia, in gran parte proprio qui, come giustamente dice anche Lei, cioè nel saper vedere..o meglio..nel saper guardare, osservare il mondo attorno a noi e dunque la realtà.
Non so se Lei ha mai visto il film di alcuni anni fa: “Il Santo” (di cui l’ attore protagonista, non troppo noto, è Val Kilmer)..ora si chiederà “cosa c’entra?”.. mi spiego subito. Questo film mi ha colpito per una frase in cui la scienziata protagonista spiega come è arrivata alla scoperta più importante della sua vita ( equazioni matematiche per ottenere la “fusione fredda” per le quali nel film i buoni e i cattivi litigano parecchio); questa donna dice che ogni scoperta “geniale” è insita nella semplice evidenza della realtà, non servono ragionamenti complicati ma basta guardare con occhio semplice ciò che vuole manifestarsi a noi, ciò che la realtà stessa vuole dirci con tutte le sue forze, ciò che lei stessa (la realtà appunto) non vuole assolutamente nascondere... a noi, dunque, non resta che coglierne l’evidenza…
Penso che Einstein con le sue importantissime teorie relativistiche ci abbia insegnato proprio questo e cioè che forse non esiste nulla di più “logico” aldilà di questa “Relatività”.. nulla di più genialmente evidente.
Non per niente, mi permetta di dire la mia, egli era un ebreo, aveva frequentato scuole cattoliche e, come tale, sicuramente, aveva una vicinanza particolare con quella che noi cristiani chiamiamo “Verità”..
Queste, ovviamente, sono solo le convinzioni di una studentessa del quarto anno che ha ancora molto da imparare ma tenevo a scrivere la mia opinione.. probabilmente, agli occhi di molti, un po’ esagerata ..
A sostegno di essa posso dire che, nella storia, molti sono i personaggi, e gli architetti, di origine ebraica che hanno “lasciato il segno”.. Erich Mendelsohn, per fare un nome importante..
Credo che un popolo così provato nei secoli come quello ebraico (non ultimo attraverso la tragedia della Shoah) abbia davvero una forte vicinanza con quella stessa “Verità” che noi cristiani chiamiamo “Dio”.. Ecco perché, quando si afferma che non esiste lo spazio, il colore e che la musica stessa è vibrazione meccanica e si dà una spiegazione scientifica alla realtà, mi chiedo se sia davvero possibile che il fascino dell’arte, la bellezza della musica, la grandiosità dell’architettura e dunque della realtà stessa in cui siamo immersi, si possa ridurre ad una “soluzione fisica" seppur estremamente esatta..
La ringrazio per aver ascoltato le assurde idee di un “soldato semplice”come me e per i suoi illuminanti insegnamenti ; le chiederei, se ne avrà l’occasione e il tempo, di rispondermi.
Beatrice Breno
Beatrice,
Grazie del lungo e dettagliato commento. Le sue osservazioni a me piacciono. L'evidenza della realtà ad esempio. Ma certo il tutto è associato ad un grandissimo lavoro, anche tecnico, anche difficile, anche professionale. Il difficile è associare a questo lavoro uno sguardo limpido e acuto come quello appunto di Einstein.
Volevo consigliarle un libro di Bruno Zevi sulle tematiche del rapporto tra Cultura ed Ebraismo.
Eccolo
Zevi, Ebraismo e architettura, La Giuntina - 1993
Credo che le piacerà, viste le sue osservazioni.
Post a Comment